Rosetta Stone ha comunicato di aver depositato la propria denuncia contro Google AdWords. La sfida sarà combattuta sul campo del trademark, quello che Rosetta Stone intende difendere e quello che Google vorrebbe in qualche modo liberalizzare sulla propria piattaforma di advertising per il Web.
Tutto nasce dalla decisione di Google di cambiare le regole per le inserzioni sul proprio circuito AdWords. Se un tempo non era possibile promuovere un brand A utilizzando nell’annuncio il nome di un brand B, ora questa libertà è accessibile a descrezione del gruppo A. Non sempre, però, il gruppo B accoglie con favore questa scelta. È infatti ormai almeno di una decina di unità il consesso delle aziende decise ad adire le vie legali contro Google, e per tutte i motivi sono similari: non è possibile accettare che gruppi terzi possano costruire il proprio mercato a partire da un brand creato con tempo, investimento ed impegno.
Spiega Michael Wu, consigliere generale Rosetta Stone: «Il motore di ricerca Google aiuta terze parti a confondere i consumatori a proposito del trademark Rosetta Stone usando il nome come “keyword” per il paid advertising ed usandolo nel testo o nei titolo di annunci a pagamento. Google e i suoi advertiser godono di benefci finaziari tramite la reputazione di Rosetta Stone senza incorrere nelle spese che Rosetta Stone ha avuto per costriuire popolarità e riconoscibilità […] del brand».
Google non ha al momento commentato nel merito la denuncia. Ciò nonostante il portavoce Andrew Pederson ha però spiegato la natura della decisione di Google di abilitare l’uso di trademark altrui per posizionare gli annunci proposti tramite AdWords: «Abilitiamo l’uso dei trademark come keyword perché gli utenti che cercano su Google possano beneficiare della possibilità di scegliere tra una varietà di advertiser concorrenti. È completamente normale per un supermercato il fatto di tenere differenti brand di cereali nello stesso ripiano o per un giornale posizionare pubblicità Ford al fianco di un articolo relativo alla Toyota, quindi non ha senso limitare la competizione online restringendo il numero delle scelte disponibili per gli utenti».
Secondo Google, insomma, una azienda A può sfruttare il brand di una azienda B nei propri annunci posizionandosi così negli stessi spazi e potendo dunque creare un confronto dal quale l’utente potrà avanzare le proprie scelte. Secondo Rosetta Stone, invece, tale sovrapposizione crea confusione. Il giudice dovrà scegliere sulla base di questi due teoremi in un processo alle intenzioni destinato ad indagare a fondo su quelle che possono essere le dinamiche psicologiche che coinvolgono un utente che si trova innanzi annunci costruiti per approfittare del cambio di policy approvato da Google e denunciato da una molteplicità di aziende.