Sulla scia delle riflessioni emerse dal convegno sulla Democrazia Digitale, organizzato dall’università Milano-Bicocca, e sulla base di quanto letto su Medialog del professor Pier Cesare Rivoltella, mi domandavo quanto in rete (e non solo) la trasparenza sia un valore, o venga considerata come tale.
Domandiamoci se esista prima di tutto una reale trasparenza di quanto accade in rete: quanto sappiamo di ciò che succede? Quanto possiamo fidarci di ciò che avviene?
È chiaro che i tempi in cui ci si nascondeva dietro un monitor sono passati, ma adesso si rischia di muoversi (e di arrivare) alla direzione completamente opposta.
È per questo che è necessario muoversi per tempo, facendosi domande e interrogandosi sulla profondità degli eventi e sulle loro conseguenze.
Nel blog sopraccitato si conclude con una domanda che mi piacerebbe rilanciare in questa sede:
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Siamo proprio sicuri che la “trasparenza” della comunicazione sia garanzia di democrazia? Se così fosse allora la società dello spettacolo nell’età del Grande Fratello e della guerra in diretta dovrebbe costituire il massimo della democrazia. Ma pare che non sia così. Insomma, inviterei a rileggere quel che Debord, Breton e Vattimo scrivevano su questo punto ormai quasi vent’anni fa.
Pensiamoci un attimo: pensiamo alla spettacolarizzazione di eventi o dei sentimenti, pensiamo a tutto l’uso mediatico che si fa di terminati argomenti, tutto questo è positivo?
Non si rischia di arrivare ad un momento in cui si tenderà ad essere stanchi di tutto questo?
Io sono dell’opinione che, tanto per cambiare, sia possibile dare risposta a questi interrogativi (e trovare una via d’uscita) solo informandosi e solo aumentando la propria consapevolezza in materia, in modo da ottenere una vera democrazia, una vera libertà e una vera partecipazione: non basata sulla trasparenza ma sulla conoscenza.
E poi (parafrasando un detto Zen) “l’acqua troppo limpida non ha pesci”.