Il destino della banda larga italiana è ipotizzato in un documento depositato sulla scrivania del Ministro dello Sviluppo economico Claudio Scajola. Il firmatario del documento, Francesco Caio, è stato convocato per studiare lo stato della situazione in Italia così come precedentemente già portato a termine su commissione del Governo inglese. A studio completato, il documento (105 pagine in tutto) è stato consegnato però senza trovare mai pubblica notifica. Panorama in questi giorni ha portato in luce le conclusioni di Caio e, mentre per quanto concernente i possibili rimedi non sembrano esserci grosse novità rispetto a quanto anticipato dai media, relativamente alla definizione stessa del problema sembra invece emergere qualcosa di estremamente nuovo.
Occorre pertanto partire da uno stralcio dell’articolo di Panorama, ove si spiega: «i dati riguardanti la copertura della rete in banda larga in tecnologia adsl sono decisamente sovrastimati. “Se calcolata sulla base della popolazione telefonica allacciata a centrali abilitate alla banda larga” scrive Caio “la copertura del servizio risulta superiore al 95 per cento” che dovrebbe salire al 97 alla fine del 2010. Il problema è che in molte zone d’Italia la “banda larga” viaggia ad appena 1 megabyte, velocità troppo bassa per garantire l’internet veloce. Quindi Caio rifà i conti e afferma: “Eliminando le zone dove la copertura non è disponibile per problematiche tecniche o dove il servizio è solo marginale (banda minima inferiore a 1 Mb), la popolazione in digital divide (che non ha accesso a internet veloce, ndr) sale al 12 per cento, pari a 7,5 milioni di cittadini”».
Per qualcuno le affermazioni di Caio possono suonare come la scoperta dell’acqua calda, ma nel contesto di un ambiente che faceva affidamento a numeri confermati anno dopo anno trattasi di una sorta di piccola rivoluzione: il digital divide, si viene a scoprire d’improvviso, è ben più ampio di quanto non fosse precedentemente illustrato dai dati Telecom Italia ed il motivo è nella definizione stessa di “banda larga” (che in tempi non sospetti l’UE fissò per definizione a partire dai 2 megabit al secondo in su).
A questo punto il dossier va oltre, fotografando i problemi in essere ed offrendo una prima proiezione sul futuro: «Nel dossier è stato calcolato che, volendo assicurare una velocità minima di 2 Mb per il 99 per cento della popolazione entro il 2011, l’investimento necessario sarebbe di 1,2-1,3 miliardi di euro (700 milioni per sviluppare la rete fissa, 600 per quella mobile) se i lavori iniziassero entro giugno di quest’anno».
Il problema (ed anche questa non è una considerazione eccessivamente innovativa, anche se lo diviene per il tono ufficiale che riveste) è tutto nell’infrastruttura: i cavi in rame hanno ormai raggiunto i propri limiti e nei prossimi anni la cosa diventerà del tutto evidente. Nel frattempo gli investimenti nella fibra vanno rallentando e per questo motivo non è ipotizzabile un intervento privato tale da risolvere un problema che sta per manifestarsi in tutta la sua pericolosità. Secondo Caio, insomma, l’intervento statale si renderà obbligatorio se si vuole risolvere un digital divide che potrebbe mettere al cappio l’economia nazionale: c’è una nuova Rete da costruire ed i privati interessati non sembrano essere eccessivamente disposti ad investire.
Le soluzioni sono sulla scrivania di Scajola. Le istituzioni devono scegliere ed agire. Ma probabilmente il rapporto di Caio ha una sua importanza intrinseca anche nel fatto di rendere evidente, al di là di posizioni di comodo su cui in troppi si erano arroccati in passato, tutta l’ampiezza di un problema che è ben più importante di quanto non venisse presentato. E identificare con esattezza il problema è, soprattutto in questo caso, il primo vero passo verso la sua risoluzione.