La relazione annuale dell’AGCOM (Autorità per le garanzie nelle comunicazioni) è stata presentata in queste ore ed il lungo documento è disponibile in rete in formato pdf. Qualche buona nuova unitamente alle vecchie magagne, il tutto con una preoccupante costante nei problemi che ormai da anni richiedono e non trovano soluzione. Ma c’è un passaggio in particolare, nella relazione, che merita un cenno per ciò che lascia preludere: una incipiente emergenza relativa alle infrastrutture sulle quali scorre la banda dei navigatori italiani. L’analisi occupa buona parte della relazione e pone in correlazione la banda con le opportunità che il paese potrebbe perdere nel prossimo futuro tanto a livello sociale quanto a livello economico. L’AGCOM non ha brillato in passato in quanto a potere decisionale e incisività d’intervento, ma le parole riportate oggigiorno sono quelle di una authority imbavagliata che cerca in qualche modo di far passare il proprio grido d’allarme.
«Per i servizi tradizionali (traffico in voce) il settore è ormai un settore maturo, che inizierà il suo declino se non saranno rilanciati i servizi nuovi (traffico dati, audiovisivo), dei quali l’incalzante richiesta del mercato e la tecnologia convergente postulano l’espansione. Per questa tuttavia è necessario un cambio di velocità: occorre un’alta velocità trasmissiva; ci vogliono, in altri termini, la banda larga e ultra-larga. In Italia il numero di utenti broadband ha raggiunto e superato i 10 milioni, con un tasso di crescita del 20% nell’ultimo anno. Il tasso di penetrazione della larga banda rimane però appena del 17,8%, mentre in Europa è mediamente del 23,3%; nei Paesi asiatici (Giappone, Corea, Singapore e Taiwan) supera il 30%. L’Italia è in ritardo non solo in termini di diffusione (ultima nel G7) ma anche di qualità delle connessioni broadband, essendo caratterizzata da velocità di connessione più basse che altrove: da noi solo il 27% degli utenti dichiara di avere connessioni con capacità di banda superiore ai 4 Mbps, mentre negli Stati Uniti siamo al 41%, in Germania e nel Regno Unito si arriva al 46%, in Francia al 54% ed in Giappone addirittura all’86. L’architettura della rete fissa e di quella mobile non è stata progettata per il nuovo traffico. Tale scenario pone con forza la questione della creazione di nuove reti trasmissive a larga banda. Lo sviluppo del settore non può che passare attraverso la realizzazione di tali infrastrutture. Stime di analisti indicano che nel 2011 servirà una capacità di banda di almeno 50 Mbps, rispetto agli attuali 3-8 Mbps; si tratta di un futuro prossimo se si tiene conto del tempo occorrente per la realizzazione delle infrastrutture. In tutto il mondo ci si sta muovendo verso quell’obiettivo: Gran Bretagna, Olanda, Danimarca, Germania, Francia puntano a una grandezza, appunto, di 50 Mbit/s. Giappone, Corea, Cina stanno attuando programmi per una velocità trasmissiva di 100 Mbit/s; e già si parla di Gbit/s».
L’AGCOM, insomma, senza lanciare alcun allarme crea ogni presupposto per un “chi ha orecchi per intendere, intenda”. E rincara la dose in seguito aggiungendo ulteriore carico semantico alla propria relazione: «Quel che si può affermare con certezza è che le reti di nuova generazione non solo sono decisive per il settore delle comunicazioni elettroniche (telecomunicazioni e audiovisivo, nell’epoca della convergenza) ma hanno un effetto strategico e traente per l’intero sistema economico nazionale. Il dibattito non è quindi sul “se”, ma sul “come” e sul “quando? realizzarle». Insomma, non è in ballo solo internet, la rete e i suoi aspetti sociali: l’intera economia potrebbe pagare pesantemente eventuali ritardi in un fattore come quello della banda larga in grado di creare opportunità e di oliare i meccanismi del sistema economico nazionale: «In Europa si valuta che la strategia giapponese di rendere ubiquo l’accesso alla larghissima banda potrebbe produrre, nel nostro Continente, un incremento annuo del prodotto interno lordo superiore all’1% all’anno per i prossimi venti anni. Seguendo gli stessi criteri di valutazione, può calcolarsi che in Italia la crescita del PIL legata allo sviluppo della larga banda possa arrivare all’1,5%-2%».
La relazione AGCOM illustra quelle che sono le principali caratteristiche degli interventi nel settore a livello internazionale. E per l’Italia suggerisce un approccio specifico, che parte innanzitutto da una domanda che va in qualche modo stimolata: «Dal punto di vista della domanda, l’attuale contesto è caratterizzato da una carenza strutturale dovuta all’ancora basso grado di alfabetizzazione informatica delle famiglie e delle imprese italiane. Quindi politiche di sostegno alla domanda – quali l’incentivazione all’adozione di apparecchiature informatiche, l’innalzamento del grado di alfabetizzazione informatica attraverso adeguate politiche scolastiche e formative, le agevolazioni alle piccole e medie imprese per l’utilizzo della larga banda, l’aumento del livello di informatizzazione della pubblica Amministrazione – rappresentano un necessario complemento alle misure di stimolo all’offerta di reti a larghissima banda». Inoltre occorre snellire le pratiche che portano alla costruzione delle reti, nonché un’organizzazione a monte che riduca pesantemente tempi e oneri a carico della pubblica amministrazione: «Prevedere il collocamento della fibra ottica nelle nuove urbanizzazioni, inserire la posa della fibra nella pianificazione della manutenzione ordinaria delle strade, all’atto dello scavo di un tunnel per la metropolitana o della posa di un cavo elettrico o della realizzazione di una condotta idrica o di una fognatura, significa ridurre i costi e i tempi in misura enorme».
Nonostante anni di battaglie e di polemiche, insomma, l’aumentata copertura e capacità di banda non hanno minimamente risolto il problema del digital divide. Perchè mentre l’Italia cresceva a piccoli passi, altrove la progressione era ben più rapida ed efficiente. L’allarme, dunque, torna a farsi sentire senza aver perso minimamente il suo carico: «Senza il passaggio alla larga banda il digital divide non riguarderà solo le aree meno servite del Paese ma segnerà il distacco tra la richiesta emergente di nuovi servizi e la capacità di soddisfarli e, allo stesso tempo, tra i Paesi avanzati che procedono ad alta velocità e l’Italia instradata su binari a scartamento ridotto».
L’AGCOM ammette di non poter agire a livello politico, ma si assume l’onere di suggerire. E pertanto punta il dito contro le infrastrutture, vera grande piaga nazionale gravante sulle ambizioni di crescita e di innovazione. La chiusura la si lascia ancora alle parole, particolarmente ispirate, usate nella relazione. Parole da appuntare, a memoria futura: «Fare dell’Italia una “fiber nation” significa riportare l’orologio indietro di vent’anni, fino al progetto (allora forse prematuro) in seguito al cui abbandono è venuta a mancare al nostro Paese una rete in cavo. Abbiamo pagato così un alto prezzo in termini di pluralismo informativo e concorrenziale, per l’assenza di alternative
all’infrastruttura di telecomunicazioni in rame ed alle reti radiotelevisive tradizionali. Vent’anni dopo, forse non è ancora troppo tardi: l’Italia ha l’occasione di ripartire, ha la possibilità di portare la fibra (con le integrazioni via radio) in casa dei cittadini […] Dobbiamo deciderci a decidere: o stiamo al passo coi tempi o l’involuzione ci aspetta dietro l’angolo».