Dopo la grande muraglia online della Cina, il Great Firewall che impedisce ai contenuti invisi al Governo di arrivare sui computer degli utenti, un altro grande muro elettronico viene ventilato ora in Oceania. L’Australia ha infatti annunciato il più severo sistema di filtraggio contenuti per un paese democratico.
Al momento si tratta di una proposta, molto sostenuta, che in tanti ritengono comunque destinata a fallire. Il filtro bloccherebbe almeno 1.300 siti proibiti dal governo per i contenuti eccessivi in materia di pornografia infantile, violenza, istruzioni criminali, droghe e terrorismo, tutto con un costo preventivato di 45 milioni di dollari australiani (circa 30 milioni di dollari statunitensi).
La proposta è arrivata all’inizio dell’anno dal Ministro delle Comunicazioni Stephen Conroy che aveva appositamente istituito un laboratorio per rendere la rete più sicura e pulita. «Non si tratta di libertà di parola» sostiene il Governo in una email inviata all’Associated Press: «Abbiamo delle leggi sul tipo di materiale che è disponibile nei nostri diversi media e la rete non fa differenza. Al momento alcuni contenuti sono vietati e cerchiamo di mettere in piedi la tecnologia che ci assicuri che lo siano effettivamente».
La proposta governativa parla di due livelli di filtraggio: uno obbligatorio, che blocca l’accesso a determinati siti presenti su una blacklist dell’Autorità Australiana per le Comunicazioni, e uno opzionale, che blocca i contenuti per adulti basato sulle parole chiave (sistema molto problematico e poco efficace).
Non si sono contate ovviamente le proteste a Melbourne. I principali oppositori sostengono che i filtri non funzionerebbero a dovere, che bloccherebbero anche molti contenuti legittimi e che rallenterebbero tutta la rete. In più molto materiale, relativo ad esempio alla pedopornografia, viene scambiato per lo più sui circuiti peer to peer, una parte delle comunicazioni in rete che non sarebbe intaccata dal grande firewall nazionale.
Nonostante le intenzioni del Governo, comunque non sembra scontata l’applicazione del filtro: i processi sulla legittimità partiranno a metà gennaio e i test ufficiali sul funzionamento sono stati spostati. Anche gli ISP locali danno poche chance di vittoria al partito del firewall: le prime stime dicono infatti che tra il 3 e il 12% dei contenuti da bloccare non viene rilevato e invece sono bloccati tra l’1 e l’8% dei siti innocui, oltre ad un rallentamento del 14% della velocità di trasferimento dati.