Le schede perforate rappresentarono, in assoluto, uno dei primi supporti di memorizzazione di massa e furono usate fino ai tardi anni ’70, successivamente ai quali vennero introdotti i floppy disk e i nastri magnetici.
La scheda perforata era un cartoncino avente forma rettangolare, la grandezza era quella di una banconota da un dollaro, diviso in 12 righe e 80 colonne.
Ogni carattere memorizzato occupava una colonna e la registrazione veniva fatta perforando o non perforando le caselle della colonna, quindi attribuendo il valore 1 nel primo caso e il valore 0 nel secondo, in poche parole utilizzando il codice binario.
I dati registrati tramite il perforatore di schede potevano esser letti utilizzando un’apposita periferica, per l’appunto il lettore di schede, che per ogni colonna era in grado di riconoscere la sequenza di bit memorizzati in quanto la perforazione o meno della casella generasse un passaggio della luce o una zona d’ombra.
Per ovvi motivi le schede perforate sono state completamente abbandonate, basti pensare al fatto che ogni scheda poteva contenere un massimo di 80 caratteri: per esempio registrare un archivio di un’azienda di medie dimensioni richiederebbe migliaia e migliaia di schede e, oltre a questo, va messa in conto la lentezza del procedimento di registrazione e di lettura che, per altro, richiedevano l’utilizzo di due apparecchi differenti e piuttosto ingombranti.
Certamente la scheda perforata, per i tempi che furono, fu portatrice di innovazione a dimostrazione del fatto che fu usata per più di mezzo secolo fino all’avvento delle più moderne tecnologie di memorizzazione di massa come quelle già citate in precedenza.