Campaigner, sporadico, vecchia e nuova scuola, più forte su Twitter oppure su Facebook, più locale o globale. Una ricerca di Doing presentata oggi alla Camera dei deputati mostra ancora una volta quanto sia determinante per un politico moderno usare i social per mantenere il proprio consenso. Nessuno però è uguale all’altro: la Merkel posta poco ma pesa molto, Hollande non usa video e foto, Cameron scrive tanto su Facebook, Renzi su Twitter, così come Rajoy. Scrivono spesso anche delle stesse cose, ma in proporzioni diverse.
I social sono lenti deformanti oppure mostrano il vero carattere dei politici? Quando Angela Merkel o David Cameron scrivono un post, si nascondono oppure si tradiscono? L’analisi quantitativa e qualitativa dei social media di sei leader europei (Renzi, Merkel, Rajoy, Hollande, Cameron e Tsipras) proposta da Marco Massarotto e Doing, intitolata Social Prime Ministers sembrerebbe confermare la seconda teoria. Sarà forse per il fatto che i politici pubblicano sempre più contenuti, sarà perché ogni contenuto in più significa una informazione in più per la social network analisys, ma questa ricerca dimostra come questi strumenti di comunicazione esaltano pregi e difetti di tutte le persone nell’ossessione di promuovere sé stessi. Così emerge la freddezza di Hollande, l’equilibrio e il mondialismo di Cameron, la forte concentrazione verso di sé di Renzi e ancora di più del premier spagnolo, che però hanno esito molto diverso.
.@marcomassarotto: "Il consenso è sempre più generato e mantenuto attraverso i media digitali" #PrimeSocialMinisters pic.twitter.com/85sv2dHB8r
— DOING (@doing) March 14, 2016
Numeri e stili
Gli spunti di riflessione di queste statistiche sui #PrimeSocialMinisters sono moltissimi. Calcoli sul rapporto tra follower e audience, la loro origine geografica, la relazione tra eventi di cronaca e tematiche, i trend imposti, quelli inventati, quelli puri e quelli ibridi. Nella presentazione alla stampa gli autori e gli ospiti hanno evidenziato come ogni politico ha il suo stile di scrittura e anche frequenza di pubblicazione: Matteo Renzi ad esempio, contrariamente a quel che si crede, non è un grande produttore di contenuti, ma riesce a ottenere un engagement molto alto da parte dei follower. Anche la cancelliera tedesca, in particolare su Facebook, si distingue per la crescita della fanbase nonostante i soli 42 post in un anno. Importante anche incrociare gli eventi con l’attività social. Per Renzi il giorno di maggiore crescita di follower è stato l’elezione del Presidente Mattarella, per Tsipras il giorno del no alle pressioni della troika, per la Merkel è stato il 3 settembre 2015, quando prese posizione a favore degli immigrati siriani, per Rajoy il giorno delle elezioni a dicembre, per Hollande ovviamente il triste 13 novembre scorso, giorno degli attentati, per Cameron il giorno della rielezione a maggio.
I politici conoscono benissimo la base dei loro follower, i loro atteggiamenti e opinioni, considerano i social, per dirla con Massarotto, «una piattaforma di intelligence politica per capire l’elettorato e pianificare la propria strategia». Ma in cosa si differenziano andando oltre la questione della sola popolarità? Nessuno dei sei è uguale un altro collega, ad esempio, per quantità di foto, testi, link, video. Matteo Renzi ha pubblicato nel 2015 277 post su Facebook di cui 86 con foto e 73 semplici status, Tsipras predilige le immagini in forma massiva (197 contro soli 14 status, e anche 112 video), Angela Merkel e David Cameron sono più equilibrati, Hollande riesce nella incredibile capacità di annoiare il suo pubblico con 114 status con promoted post, legati ad anniversari, eventi in calendario e due sole foto in tutto il 2015.
Naturalmente la propensione o meno all’uso di diversi contenuti accorcia o allunga il tempo di lettura, anche se molto spesso i tre leader più legati alle immagini – Renzi, Tsipras e Merkel – sono capaci di postare contenuti testuali anche molto lunghi. Si prendono tutto il tempo, quando necessario, per ingaggiare una conversazione coi propri follower. I temi, però, sono collegati alle campagne, agli obiettivi e solo in piccola parte agli eventi traumatici seguiti dall’opinione pubblica, con varie differenze dovute alle scadenze elettorali. Renzi dedica il 21% dei suoi post alle riforme politiche, il 15% alle notizie, il 13% all’economia, il 10% all’educazione, l’8% al lavoro. I temi più ricorrenti di politici come Tsipras e Rajoy sono invece state le campagne elettorali e l’unione europea, così come per la Merkel, mentre per Cameron l’economia e le tasse hanno avuto un peso maggiore. Unico e specifico il peso del terrorismo per Hollande, che occupa il 15% dei post. Di fatto 4 leader su 6 sono leader che scrivono delle loro campagne politiche, solo Hollande è in qualche modo costretto all’attualità mentre Cameron parla spesso di tasse ed economia perché impegnato nel referendum pro e contro l’Europa. Un dato è più clamoroso di altri, a dimostrazione di come questi leader si sentano a disagio con certi argomenti: il politico che più ha parlato di immigrazione tra i sei è Alexis Tsipras ed è un misero 7% del totale dei suoi contenuti. Il tema più ossessivo nell’opinione pubblica è letteralmente scansato sui canali social dei leader politici.
.@marcomassarotto: "I leader europei devono imparare a parlare di #immigrazione utilizzando la comunicazione digitale" #PrimeSocialMinisters
— DOING (@doing) March 14, 2016
Matteo Renzi
Impossibile resistere a un focus sul più web socialite dei politici italiani, Matteo Renzi. Al suo stile ed ai suoi hashtag sono stati dedicati diversi libri, qualcuno definisce questa come la Repubblica dei selfie. Che tipo di comunicazione social attua il presidente del consiglio? Si può dire che Renzi è un vero campione nei match positivi del 2015: alto range, reach molto alta (11,6 milioni) rispetto alla base di follower, più di tre milioni di mention su Twitter ne fanno l’unico leader che è capace di fare di sé stesso un argomento trend e di crescere dinamicamente sui social senza interruzioni, con il più basso grado di separazione nel network dei cinguettii. Francesco Nicodemo, della direzione nazionale del PD, individua tre punti di forza. Il primo è tipico della stagione politica italiana: l’ibridazione dei media.
.@fnicodemo: "@matteorenzi potrebbe essere definito un ottimo storyteller" #PrimeSocialMinisters pic.twitter.com/Bq8vXcXNhY
— DOING (@doing) March 14, 2016
Il messaggio/contenuto non è pensato per un solo compartimento stagno. Un tweet diventa il titolo di un tg, un intervento in tv diventa un hashtag virale.
Renzi inoltre, rispetto agli altri leader, tende a parlare direttamente all’opinione pubblica e all’elettorato via social media. Questo ne fa un disintermediatore tanto efficace quanto un po’ antipatico ai mass media tradzionali:
Nel suo network è al centro della discussione, a sua volta gli influencer della sua rete costruiscono altre reti di dialogo. In questo modo la comunicazione è orizzontale e circolare e soprattutto massiva e capillare.
Già, capillare. E qui c’è lo specifico del politico italiano che, sorpresa, conta sulla vecchia e ancora efficiente macchina del partito che fu, prima che fosse (frettolosamente?) definito liquido. Renzi riesce ad agire cerchia per cerchia.
La rete dei follower riprende quella reale del PD (circoli, federazioni) che mobilita migliaia di volontari online/offline producendo comunicazione di prossimità. Cioè, la comunicazione funziona perché pervade insieme per insieme, così sono i cittadini comuni nel loro giro (il bar, il calcetto, la scuola, al mercato, nelle associazioni) ad essere gli influencer, orientando le scelte dei singoli.