La Legge di Moore, benché non dimostrata con rigorosi calcoli matematici o geniali deduzioni, ha da sempre guidato il mondo dell’elettronica nel compiere innovazioni tecnologiche. Il MIT nei mesi scorsi ha sperimentalmente dimostrato che rappresenta una teoria in grado di proporre un modello realtà particolarmente affidabile. Ma fino a che punto potrà essere valida: in tal senso, sono diverse le ipotesi, fortemente contrastanti tra di loro.
Riassunto in breve, il principio di Moore stabilisce che ogni 18 mesi circa il numero di transistor presenti all’interno delle unità di elaborazione tenda a raddoppiare. In altre parole, all’incirca ogni anno e mezzo vengono compiuti passi in avanti dal punto di vista tecnologico che consentono la riduzione delle dimensioni dei transistor e dunque un importante incremento nella densità degli stessi per unità di superficie: la conseguenza diretta è un incremento nelle performance dei chip elettronici, come dimostra il raggiungimento di frequenze di clock dell’ordine dei GigaHertz.
Ma come in ogni ambito, la fisica pone dei limiti invalicabili per certi versi: al di sotto di certe dimensioni, infatti, i transistor iniziano a mostrare segni di instabilità, rendendone impossibile l’utilizzo in contesti operativi. Per tale motivo c’è chi ha affermato che la legge di Morre si giunta oramai al capolinea a causa dell’estrema vicinanza tra le tecnologie odierne e tale limite imposto dalla natura.
Tra i principali sostenitori di tale teoria vi è John Gustafson, una delle figure più importanti nell’organigramma di AMD, secondo cui non sarà mai possibile compiere miglioramenti significativi che implichino dimensioni inferiori ai 20 nm. Oltre a problemi di natura fisica, Gustafson ne intravede anche altri fortemente legati al fattore economico, in quanto la stampa di circuiti con un numero eccessivo di transistor implicherebbe costi eccessivamente elevati e dunque un incremento nei prezzi dell’elettronica.
Ad avvallare tale ipotesi sono anche i dati che caratterizzano l’andamento del mercato delle unità di elaborazione nel corso degli ultimi anni. Raramente, infatti, si assiste alla nascita di dispositivi con frequenze di clock superiori a determinate soglie ed oramai ci si è resi conto che può essere inutile, se non addirittura controproducente, spingersi eccessivamente in là in tal senso. Sempre più spesso, invece, le case produttrici preferiscono optare per frequenze non eccessivamente elevate accompagnate da soluzioni tecnologiche alternative in altri settori, in primis con l’adozione di unità allo stato solido per velocizzare la lettura e la scrittura dei dati.
Di parere differente è invece Morris Chang, fondatore di Taiwan Semiconductor Manifacturing, secondo cui ci sono almeno altri 7 o 8 anni durante i quali sarà possibile compiere sostanziali passi in avanti, con la possibilità di raggiungere i 10 se non addirittura i 7 nm. Secondo Chang, insomma, la legge di Moore non sarebbe giunta al capolinea ed il rallentamento nell’incremento dei transistor per unità di superficie sarebbe soltanto un effetto collaterale che non ne invaliderebbe la bontà.
Il mondo dell’elettronica, insomma, è profondamente spaccato tra chi sostiene che la legge di Moore abbia rappresentato un modello di riferimento affidabile nel corso degli ultimi decenni ma debba ora essere accantonato a causa di limiti fisici e tecnologici impossibili da oltrepassare, e chi invece crede che l’andamento del mercato e della ricerca continueranno a riflettere quelle che sono state le predizioni dell’allora co-fondatore di Intel.