Legge sull'Editoria: interviene l'Europa

Il Parlamento ratifica una direttiva della Comunità Europea che fa chiarezza sul presunto obbligo di registrazione dei siti Internet presso il tribunale. Ma non si spengono le polemiche riguardanti la Legge sull'Editoria
Legge sull'Editoria: interviene l'Europa
Il Parlamento ratifica una direttiva della Comunità Europea che fa chiarezza sul presunto obbligo di registrazione dei siti Internet presso il tribunale. Ma non si spengono le polemiche riguardanti la Legge sull'Editoria

«Deve essere reso esplicito che l’obbligo di registrazionedella testata editoriale telematica si applica esclusivamente alleattività per le quali i prestatori di servizio intendano avvalersi delleprovvidenze previste dalla legge 7 marzo 2001 n.62 e checomunque ne facciano specifica richiesta». Con queste parole, contenute nella direttiva2000/31 della Comunità Europea appena ratificata dal Parlamento italiano,si chiude la polemica sulla presunta natura censoria della Legge sull’Editoriaapprovata dalle camere un anno fa.

Come molti ricorderanno, l’articolo 1 della legge estendevala definizione di prodotto editoriale anche ai siti Internet. Il comma 3stabiliva che, al prodotto editoriale così definito, si applicassero ledisposizioni della Legge sullaStampa 47/1948, ovvero l’obbligo di registrazione della testatapresso il tribunale. HTML.it era stato tra i primi siti ad occuparsi dellalegge 62/2001 immediatamente dopo la sua approvazione. In un editoriale, avevamo tentato dimettere in evidenza i pregi e i difetti (non pochi, questi ultimi) delprovvedimento; inoltre, avevamo fornito la nostra interpretazione dell’articolo1, comma 3: secondo noi, la registrazione presso il tribunale diventavaobbligatoria soltanto per chi avesse voluto valersi dei fondi messi adisposizione dalla legge.

La possibilità, per un sito Internet, di ottenere laregistrazione presso il tribunale, era stata a lungo negata in molte cittàitaliane. Il fatto che questa possibilità venisse garantita per legge non cisembrava tanto scandaloso, proprio trattandosi di una possibilità, e non di unobbligo. Tanto più che si trattava di un adempimento da compiere in vista di unbeneficio. I punti di debolezza del provvedimento erano semmai altri,primo fra tutti proprio quello di voler inquadrare Internet in una legislazioneormai datata, rischiando di aumentare la confusione normativa sull’informazione.

Comunque, tutto era proceduto sotto silenzio, fino al giornodell’entrata in vigore della legge, il 5 aprile, quando il quotidiano Punto Informatico titolò «Ufficiale la censura suInternet». Si fece strada in Rete la versione, avallata anche da vociautorevoli come la rivista Interlexed il segretario della Federazione Nazionaledella Stampa Paolo Serventi Longhi, secondo la quale i siti Internet che fecevanoinformazione senza essere registrati erano automaticamente fuori legge.E molti siti, in effetti, cominciarono a chiudere, nel senso che si autosospeseroper protesta. Punto Informatico lanciò una petizione online per l’abrogazionedella legge ottenendo, in pochi giorni, decine di migliaia di firme.

La protesta, senza precedenti per la Rete italiana,costrinse l’allora sottosegretario per l’Editoria Vannino Chiti a chiarireche l’obbligo di registrazione non esisteva. Il Parlamento aveva i giornicontati ed un esponente della opposizione di allora dichiarò che, una voltavinte le elezioni, si sarebbe impegnato, per quanto in suo potere, ad abrogarela legge.

Quell’uomo era Antonio Martino, attuale ministro dellaDifesa, il quale evidentemente è in grado di difendere il suolo patrio ma nonle proprie opinioni, se è vero (come è vero) che la Legge sull’Editoria èancora al suo posto e l’alter ego del presidente del Consiglio, PaoloBonaiuti, non perde occasioneper definirla eccellente.

Comunque, la 62/2001 ha avuto un anno intero per fare danni.E non ne ha fatti, non almeno nel senso inteso dai suoi detrattori: in un anno,neanche un sito è stato fatto chiudere perché non registrato presso iltribunale. Il recepimento della direttiva comunitaria 2000/31 dovrebbe comunquescongiurare definitivamente questo rischio, se mai c’è stato. Tutti contenti,dunque? Pare di no.

Il presidente dell’Associazioneper i Diritti degli Utenti e Consumatori (ADUC) Vincenzo Donvito paventaora la nascita di un’informazione di serie A e di una di serie B: «In questo modo è stato creato ilmercato dei “ricchi” e quello dei “disgraziati”,» si legge in un comunicato, «dovei primi sono quelli osservanti le vecchie leggi e per questo beneficiati daisoldi dello Stato, e i secondi sono i “ragazzi dell’informazione” a cui gli siconcede (sic) di continuare a fare il giornalino scolastico». Nondistante la posizionedi Punto Informatico: «La normativa comunitaria suggella la migrazionenel "sistema internet" di un cancro che già avvolge l’informazionecartacea: quello della discriminazione tra chi fa informazione e disponedel bollino blu rilasciato dall’Ordine dei giornalisti e dalla corporazionedegli editori e chi vorrebbe farla in forza dei precetti costituzionali ma nonpuò perché senza bollino blu è fuorilegge,» si legge in un editoriale di Paolo De Andreis, che parlapoi di vittoria a metà in quanto l’obiettivo della petizione (l’abolizionedella legge) è stato mancato.

«La registrazione dovrebbe essere un atto puramentevolontario, da parte di chi intende fare informazione professionale eassumersi le relative responsabilità, ottenendo in cambio la protezioneaccordata dalla legge. Nulla dovrebbe essere imposto al giornalistaoccasionale, ferme restando le sanzioni civili e penali per eventuali attiilleciti». Questo era l’auspicio espresso in un articolo del 19 luglio 2000da Manlio Cammarata, direttore di Interlex,rivista in prima linea nella battaglia contro la 62/2001. Ora che questoauspicio è stato di fatto realizzato, le obbiezioni dell’ADUC e di PuntoInformatico diventano, secondo chi scrive, un importante contributo all’annosodibattito sull’abolizione dell’Ordine dei giornalisti. Ma con la legge sull’editoriahanno ormai veramente poco a che vedere

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