La sua eredità culturale è online. Irrimediabilmente online. Tutti gli elementi della sua follia sono analizzabili a posteriori, disseminati ovunque sul Web. Questo perché il mostro, prima ancora di svelarsi in quanto tale, era un ragazzo che navigava, che creava contenuti, che portava in pubblico le proprie idee “rivoluzionarie”. Oggi però Anders Behring Breivik è soltanto un mostro che tutto il mondo ha imparato a conoscere.
Anders Behring Breivik, l’autore della strage in Norvegia, ha caricato video su YouTube. Ha cinguettato i propri ideali su Twitter. Ha lasciato la propria immagine su Facebook. Addirittura è disponibile un PDF del suo folle manifesto politico, quel “A European Declaration of Independence – 2083” con il quale promulga la propria analisi del pensiero europeo, del modo in cui è stato corrotto e del perché sia necessario tornare ad ispirarsi ai Crociati per liberare il continente dal Papa, dai musulmani e da ogni altro elemento che possa identificare una minaccia alle radici culturali della tradizione.
Dopo la strage norvegese Anders Behring Breivik è diventato l’ombelico della follia razzista ed il suo seme ideologico è destinato al tentativo di propagarsi online. Ma non è nato online. Chi in passato ha visto nella Rete la causa principale della produzione di armi, pedofilia ed ogni altra sorta di atrocità, vede oggi in Breivik il fallimento del proprio sforzo interpretativo poiché Internet altro non è se non uno strumento potente messo in mano a chiunque, al saggio e allo stolto, affinché possa farne uso per far propagare i propri ideali. La bontà degli stessi, solo e soltanto questo, li porta però al pubblico.
Breivik potrà essere inoltre argomento valido per chi chiede la soppressione dei videogiochi violenti. L’autore della strage, infatti, nel proprio documento online ha candidamente spiegato come si sia preparato su giochi quali “Call of Duty: Modern Warfare 2” o “World of Warcraft”, definendoli peraltro come due ottime palestre di esercizio militare. Dare la colpa ai videogiochi significherebbe però scagionare la lucida pazzia di un mostro, spostando l’obiettivo dall’oggetto allo strumento. C’è da sperare pertanto che non ci si lasci andare per l’ennesima volta anche a quest’ultima deviazione interpretativa, altrimenti il focus sul problema sarà perduto del tutto.
Anders Behring Breivik ha usato la Rete per portarvi la propria follia, che è stata però perlopiù inascoltata e che per farsi notare ha dovuto essere intinta nel sangue. I suoi documenti riecheggiano però ora la musica tetra che accompagna oltre 90 salme verso l’estremo saluto di un popolo ferito. Online rimangono i video su YouTube, un profilo Facebook sfregiato dai visitatori che caricano messaggi e tag di insulto, un profilo Twitter che ricorda quel che è stato ed un documento PDF che probabilmente farà il giro delle residue sacche di razzismo che ancora si annidano nei meandri della società.
No, nessun link. Chi sa cercare troverà.
La “pre-crimine” di Minority Report non esiste ancora, dunque Internet non è servito ad anticipare i fatti ed a sospettare quanto profonda fosse la follia di Anders Behring Breivik. Le immagini che fanno il giro del mondo arrivano però tutte da Internet, che in queste ore aiuta a capire almeno quale possa essere il seme della follia e come possa attecchire. Internet serve almeno per una analisi postuma.
Purtroppo, di fronte ad una strage di questo tipo, non si può far altro se non un ideale CTRL+ALT+CANC. A volte bisognerebbe poter riavviare tutto. Semplicemente. Ma non si può.