L’FBI ha comunicato di aver chiuso il sito Megaupload e di aver tratto in arresto il suo fondatore. La notizia giunge come un fulmine sulle abitudini di download di milioni di persone in tutto il mondo, colpendo uno dei siti in assoluto più noti per il download di contenuti audio/video. Impressionante la risposta raccolta dalla rete, con una immediata moltiplicazione di tweet di protesta contro l’operazione delle autorità.
Secondo quanto comunicato dal Department of Justice, l’operazione ha portato alla persecuzione di due aziende (Megaupload Limited e Vestor Limited) portando in esecuzione gli arresti dei due diretti responsabili: Kim Dotcom, aka Kim Schmitz, fondatore di MegaUpload, ed il collaboratore Kim Tim Jim Vestor. Per entrambi le autorità indicano la possibilità di una condanna fino a 20 anni di detenzione.
Le indagini coinvolgono altresì altre persone, i cui nominativi sono stati messi nero su bianco dalle autorità: Finn Batato, Julius Bencko, Sven Echternach, Mathias Ortmann, Andrus Nomm e Bram van der Kolk. Dotcom, Batato, Ortmann e van der Kolk sarebbero stati arrestati ad Auckland, mentre Bencko, Echternach e Nomm sarebbero ancora in libertà. Sequestrati infine asset per un controvalore da 50 milioni di dollari e 18 nomi a dominio correlati alle attività del sito principale.
L’operazione farà sicuramente discutere per la prova di forza dimostrata dalle autorità nelle ore stesse in cui la protesta contro SOPA e PIPA ha portato al rinvio delle normative con cui il Congresso USA stava cercando un deciso giro di vite contro la pirateria online. MegaUpload, secondo quanto indicato dal DoJ, sarebbe responsabile di un danno procurato pari a circa 550 milioni di dollari. Il sito conta 150 milioni di utenti iscritti, 50 milioni di visitatori al giorno e veicola ben il 4% del traffico totale registrato sulla Rete a livello internazionale.
Le motivazioni dell’arresto sarebbero non tanto nel materiale caricato sui server (la cui responsabilità sarebbe degli utenti), ma nella creazione e gestione di un modello di business basato sull’incoraggiamento e sulla premiazione degli utenti che caricavano materiale illegale sui server del gruppo. L’intera organizzazione del progetto, insomma, sarebbe stata ideata con finalità precise: raccogliere materiale e utenza, dalla quale trarre lucro sfruttando appositi canali di advertising. La gestione del business non avrebbe inoltre rispettato in alcun modo le leggi per la tutela del copyright, agendo ad esempio in modo ambiguo nel momento in cui venivano segnalate violazioni da parte dei detentori di diritti sui contenuti caricati: mai cancellati i file dai server, mai interrotti gli account in violazione e mai conseguite, insomma, le disposizioni previste dalla legge in caso di violazione di copyright.
Impressionate lo spiegamento di forze messo in campo contro Megaupload: si va dall’FBI al DoJ, passando per autorità neozelandesi, tedesche, olandesi, canadesi e filippine.