Il campo dell’Intelligenza Artificiale è in continuo fermento. Le recenti notizie di importanti acquisizioni suggeriscono che la tecnologia si sta muovendo verso l’uso mainstream. Prova di tutto ciò è la mossa di Apple, che ha comprato da uno sviluppatore di telecamere di intelligenza artificiale una serie di brevetti a uso futuro di cosa non si sa, oltre alle politiche di alcune organizzazioni, come le banche, notoriamente lontane da iniziative IA, che sempre più si muovono in tale direzione.
Secondo la rivista CIO, proprio la finanza darà vita ad una rivoluzione globale, che vedrà l’affermarsi di sistemi IA rispetto ai metodi umani tradizionali. Nonostante ciò gli esperti del settore e gli scienziati dicono di non preoccuparci, perché i robot non prenderanno il nostro lavoro. Gartner, ad esempio, crede che le intelligenze artificiali creeranno più posti di quanti ne distruggerà da qui al 2025. Possiamo fidarci? Beh, no.
Kai-Fu Lee è uno dei maggiori esperti mondiali di IA e solo qualche giorno fa, ha affermato che nel giro di 15 anni, la tecnologia potrebbe sostituire circa il 40% dei posti di lavoro al mondo. Il trend sta già iniziando, con il 75% delle organizzazioni intervistate da KPMG che si aspettano che l’automazione intelligente abbia un impatto significativo dal 10% al 50% dei loro dipendenti nei prossimi due anni. Un dirigente di Citigroup ha spifferato a Bloomberg che una migliore intelligenza artificiale potrebbe ridurre il personale in banca del 30%.
Qual è dunque la verità? Ritorniamo ad un punto precedente: la nuova società ha bisogno di tecnologia, quindi avremo sempre meno professioni manuali, che saranno svolte dai robot, e sempre di più operai da “dietro le quinte”, che gestiscono i sistemi. Ve li vedete 200 ragazzi (e non) dei call center che, in un solo colpo, diventano sviluppatori Java? Io no.
Un passaggio necessario avverrà e non nel giro di molti anni o decenni. Cosa dire a chi, già oggi, è a casa perché al centralino c’è un bot oppure un chatbot che risponde su Facebook notte e giorno? Dove andranno a finire quei milioni di dipendenti che, bontà loro, adesso svolgono un ruolo ripetitivo e considerato marginale in un’azienda del futuro? Serve dare sicurezza a queste persone, già da ora.
Un articolo del New York Times di gennaio cita un sondaggio di Deloitte del 2017, che ha rilevato come il 53% delle imprese ha già iniziato a utilizzare le macchine per eseguire attività precedentemente svolte dagli esseri umani. La cifra dovrebbe salire al 72% entro il prossimo anno. Questo rischio percepito di restare indietro sta influenzando in modo generale le principali società mondiali. Vada per la trasformazione digitale, ma la cosa sta diventando un’ossessione.
Si scorge all’orizzonte un grosso problema: i lavoratori non sono un fattore importante nel calcolo economico della spinta aziendale ad adottare l’intelligenza artificiale, nonostante tante dichiarazioni contrarie. La tendenza verso l’IA non è inevitabile, perché potrebbero sorgere blocchi in grado di rallentarne l’implementazione o addirittura arrestarla. Negli ultimi mesi sono emerse numerose preoccupazioni etiche, con molte aziende che non vogliono stare dalla parte sbagliata quando si avranno rivolte di dipendenti o consumatori.
Certo è che l’intelligenza artificiale può essere il più veloce cambiamento di paradigma nella storia della tecnologia. Da un lato c’è l’opinione convenzionale secondo cui le rivoluzioni tecnologiche creeranno nuovi posti di lavoro; dall’altro chi pensa che non stiamo solo automatizzando le professioni ma anche la cognizione dell’individuo e ciò porterà a un gap di personale in carne e ossa, a vantaggio di bulloni e silicio (e software).
E voi, da che parte state? Fatemelo sapere con un #buongiornounCaffo.