È ormai evidente che le università occupano un posto
di assoluto rilievo per quanto riguarda lo sviluppo di Internet e, più in
generale, delle nuove tecnologie. Questo non soltanto per le caratteristiche
socio‑demografiche di chi le frequenta; spesso, le aule e i laboratori
mettono a disposizione strutture di eccellenza che permettono agli studenti e
al personale di sperimentare applicazioni e servizi inaccessibili da casa.
Il caso più evidente è quello del peer‑to‑peer.
Secondo alcune recenti ricerche, in certe università circa il 75% del consumo
di banda è riconducibile allo scambio di file tramite servizi come KaZaA,
Morpheus o WinMX. Intorno a questo fenomeno si sta consumando, negli Stati
Uniti, una battaglia che trova, da un lato, le major discografiche e
cinematografiche, convinte che la soppressione del P2P illegale nei college assesterebbe
un colpo mortale per i servizi di file‑sharing; dall’altro, le
organizzazioni per i diritti civili le quali, pur senza discutere le
rivendicazioni di autori ed editori, paventano un pericolo mortale per la
creatività e la libertà sacre degli studenti.
Il mese scorso, in una lettera scritta a
quattro mani, Hilary Rosen (Recordin Industry Association of America), Jack
Valenti (Motion Picture of America), Edward P. Murphy (National Music
Publishers’ Association), Rick Carnes (The Songwriters Guild of America) hanno
chiesto ad oltre 2 mila università negli Stati Uniti di muoversi concretamente
contro l’utilizzo delle connessioni accademiche per lo scambio di
materiale protetto da copyright. «La violazione del copyright è un furto», si
legge nella lettera. «È una parola dura, ma lo è, puro e semplice». Le
richieste delle quattro associazioni sono tassative:
Informare gli studenti circa le loro responsabilità morali e
legali nei confronti dei detentori di copyright
Specificare quali pratiche sono accettabili sui network
scolastici e quali no
Sorvegliare il rispetto delle regole
Imporre rimedi efficaci contro i trasgressori
Sono state queste ultime due richieste a mettere in allarme
l’EPIC (Electronic Privacy Information
Center) che, pur ammettendo «l’interesse legittimo [delle associazioni] a
proteggersi dalle violazioni», ha voluto far notare che il danno arrecato
dall’introduzione di politiche di censura e sorveglianza all’interno del mondo
dell’istruzione potrebbe essere incomparabile con quello prodotto dai siti di
file‑sharing illegale. Secondo l’EPIC «piazzare questo fardello sulle
spalle delle istituzioni educative non è né ragionevole, né appropriato.
Rifiutarlo non toglierebbe alle organizzazioni il diritto di agire in caso di
violazioni».
I college hanno già avviato al loro interno un dibattito
sulla materia. I rappresentanti delle istituzioni educative statunitensi, hanno
recentemente preso atto del fatto che «le politiche per colpire il P2P hanno
implicazioni per i valori basilari dei campus come la privacy, la libertà di
espressione e la libertà accademica». Ma le associazioni per la difesa del
copyright tendono a minimizzare questi rischi: «Non credo che qualcuno debba
insegnare alle università la libertà accademica e il rispetto del Primo
Emendamento o della privacy degli studenti», ha dichiarato il presidente della
RIAA Cary Shermann