Oltre alle note lotte che l’industria della musica e più recentemente quella del cinema e della televisione stanno combattendo contro il pirataggio dei loro contenuti in rete c’è anche quella più oscura ma paradossalmente più importante (per il danno inflitto) che sta combattendo l’industria del porno.
In pochi infatti hanno subito danni dalla circolazione illegale di contenuti digitali in rete quanto il mondo del porno. Nella mentalità collettiva piratare musica non è un reato ma piratare pornografia è quasi equiparato alla legittimità, come se la natura “proibita” dei contenuti si sposasse perfettamente con la natura “proibita” del P2P.
Ma se fino ad ora l’industria del porno si era battuta direttamente contro gli scaricatori dei circuiti Peer to Peer (anche perchè nel 2006 il 60% del traffico P2P era di carattere pornografico) in maniera simile e con risultati simili a quelli ottenuti dai discografici (cioè poco e niente), adesso hanno capito anche loro che bisogna andare a colpire la radice e stanno prendendo di mira siti paralleli a YouTube come PornoTube o YouPorn.
Si tratta ovviamente di compagnie che nulla hanno a che vedere con Google ma che sfruttano il meccanismo vincente con cui YouTube propone i suoi contenuti e che ovviamente oltre a video amatoriali ospitano centinaia di migliaia di video porno coperti da copyright.
E’ Jason Tucker, presidente della PAK (l’associazione antipirateria dell’industria per adulti) che ha dichiarato che gli sforzi contro i singoli non hanno efficacia dunque ora andranno alla radice come già nel 2007 fece Vivid contro PornoTube senza successo. «Il punto» ricorda Tucker «non sono le entità esterne all’industria ma quelle che si professano membri attivi del business!».
Non è un mistero l’incredibile successo di siti di video sharing per adulti come YouPorn, come non è un mistero quanto fin dall’inizio di internet il porno abbia aiutato la diffusione della connettività e sia stato sempre tra i contenuti più cercati e richiesti (anche se ad oggi i social network li superano). Eppure in maniera assolutamente similare a Google fino ad ora tutti i cloni di YouTube si sono difesi con efficacia grazie alle pieghe del Digital Millenium Copyright Act (legge per la quale chi pubblica contenuti non è tenuto ad esserne responsabile e li deve levare solo su richiesta del legittimo detentore del copyright).
Dalla PAK però ora dicono di volere che i siti in questione applichino dei filtri per bloccare il materiale protetto da diritto d’autore e, rispetto alle associazioni degli editori musicali e dei produttori cinematografici che chiedono la stessa cosa da molto tempo, il mondo del porno può vantare esempi come quelli di YouTube o MySpace che già possiedono filtri per il materiale porno.
Inoltre, sempre rispetto alle cause intentate contro Google, l’industria del porno sembra avere un’altra arma in più nella legislazione anti-pedofilia. Vivid infatti medita di attaccare siti come YouPorn puntando sul fatto che consentono upload anonimi di materiale porno, cosa che (stando a Vivid) sarebbe appunto contraria alla regolamentazione che previene la pedopornografia.