Linux è ora un po’ più unito. Per lo meno, il Linux distribuito dalle case produttrici che aderiscono al Free Standards Group, il gruppo di produttori che promuove e divulga regole comuni per la distribuzione di software per Linux. È di ieri la notizia che il gruppo ha rilasciato, dopo l’assaggio dello scorso gennaio, le specifiche Linux Standard Base (LSB) 2.0, un set di regole comuni che dovrebbero garantire interoperabilità fra i prodotti scritti per Linux.
Un fattore critico di successo. Così viene presentato il nuovo standard, supportato da alcune delle principali distribuzioni Linux e da una buona porzione delle principali industrie Hi-Tech. Assieme a Mandrake, Red Hat e SuSE, sono dalle parte dei nuovi standard anche Intel, AMD, IBM, Dell, HP. Tra le distribuzioni compatibili compaiono anche la Caldera OpenLinux Server e la SCO Linux Server 4.0, entrambe prodotte dalla Santa Cruz Operation (SCO), l’industria americana che vanta i diritti di proprietà intellettuale sul codice Unix usato nel kernel di Linux.
Evitare la frammentazione, questo il fine della Linux Standard Base. Evitare la biforcazione continua dei progetti software basati su Linux per renderne più accessibile la sua adozione.
Ogni sistema Linux è diverso dall’altro e ogni sviluppatore deve saper progettare il proprio software per poter funzionare su questa o quella distribuzione. Non sono rari i casi in cui un programma viene perfettamente eseguito su una Red Hat mentre trova difficoltà di esecuzione su una Debian. Una diversità evidente nelle versioni dei pacchetti con cui vengono distribuiti i programmi: rpm, deb, pacchetti per Slackware o per SuSE.
Tutto ciò provoca difficoltà nella scrittura dei software e complicanze nella loro gestione. Secondo i promotori del Free Standards Group, la mancanza di un sistema unico di riferimento, come può essere quello di Windows o quello di Mac, è un freno alla diffusione di Linux.
Microsoft ha sempre avuto gioco facile nel criticare la differenziazione dei sistemi open source, opponendoli alla semplicità monolitica di quelli per Windows. In un vecchio spot di Windows 2000, spesso citato in queste ore, Microsoft rappresentò il pinguino simbolo di Linux mutato in una rana o in un elefante con una didascalia che recitava: “Un sistema operativo può mutare. Con Windows 2000, invece, tutti i servizi hanno la stessa origine”.
Il problema si pone a tutti i livelli: dalla scrittura del software al testing delle applicazione sino alla loro distribuzione. La Linux Standard Base specifica per questo motivo le librerie da utilizzare, il metodo di accesso alle risorse di sistema, il metodo di creazione dei pacchetti (il formato scelto è l’rpm v3). Anche il metodo di denominazione dei pacchetti: quelli conformi con il Linux Standard Base devono essere preceduti dal prefisso “lsb-“.
Non sono mancate naturalmente le voci di dissenso dal progetto uniformatore. Molti sostenitori del free software mettono in guardia dalle finalità commerciali del progetto. «Questo non ha nulla a che fare con il software libero o open source, tranne che nel tentativo delle aziende di software commerciale di ottenere un aiuto gratuito dagli sviluppatori di software libero o open source», scrive un utente di Slashdot.
Il Free Standards Group conta invece di esportare sui sistemi desktop il buon successo di Linux sui sistemi server. Secondo il gruppo, l’interoperabilità del software è un «punto cruciale per il successo di Linux: per gli sviluppatori, perché semplifica lo sviluppo e la portabilità delle applicazione, per gli utenti perché e garantisce la libertà di non essere costretti dietro un sistema operativo chiuso».