L’Iran come la Turchia, solo che questa volta a farne le spese non è Twitter ma WhatsApp. La nota applicazione di messaggistica per dispostivi mobili è stata dunque messa al bando dalla autorità della Repubblica islamica. I cittadini iraniani non possono dunque più utilizzare Whatsapp per scambiarsi messaggi. Le motivazioni di questa vera e propria censura sono arrivate per bocca di Abdolsamad Khorramabad, capo della commissione iraniana per i reati sul web, che ha spiegato come il blocco sia dovuto al fatto che Mark Zuckerberg, nuovo proprietario di WhatsApp dopo l’acquisizione da parte di Facebook, è un americano sionista.
Una motivazione debole che in realtà nasconde l’ennesimo tentativo dell’Iran di mettere un bavaglio alla libera circolazione delle informazioni. Già nel 2009, a seguito di un uso massiccio dei social media per scambiarsi informazioni durante la campagna elettorale presidenziale, il Governo Iraniano bloccò l’accesso a Facebook e Twitter. Blocco che perdura sino ad oggi a meno di non utilizzare specifici trucchi che permettono di aggirare i filtri applicati dalle autorità. In ogni caso, la notizia del blocco di WhastApp ha velocemente innescato una serie di pensanti polemiche all’interno del Paese, non solo da parte dei cittadini ma anche da parte della politica con il Governo che avrebbe preso immediatamente le distanze dichiarando di essere assolutamente contrario all’iniziativa presa della commissione iraniana per i reati sul web.
Questo nuovo bavaglio alla libertà di espressione rilancia il dibattito su quanto purtroppo sta accadendo in molti Paesi del mondo dove Governi repressivi tentano in tutti i modi di bloccare quei mezzi di comunicazione che non possono essere tenuti sotto il loro controllo. In particolare sono maggiormente oggetto di repressioni i social network e le piattaforma di comunicazione come appunto WhatsApp, Youtube, Facebook e molti blog.
Esempi recenti si sono visti in Turchia dove è stato bloccato ma poi “liberato” Twitter o in Russia dove continuano ad essere nel mirino della censura Gmail, Skype e Facebook.