«La legge dell’Unione europea potrebbe consentire ai paesi membri di bandire siti web stranieri di gioco d’azzardo, se l’intenzione è quella di ridurre il crimine»: così Reuters introduce la decisione della Corte suprema dell’Unione Europea, indicando così una decisione destinata a cambiare in modo pesante i rapporti tra gli stati membri e le aziende che intendono portare avanti il verbo del gioco d’azzardo in rete.
Inutile sottolineare come la decisione giunga nei momenti stessi in cui Bwin sta per chiudere l’acquisizione di Gioco Digitale, gruppo italiano che per primo ha portato il poker online nel nostro paese: le azioni Bwin sono immediatamente cadute in borsa del 5%, in attesa di ulteriori sviluppi tanto sul fronte delle operazioni d’acquisto quanto sul versante delle decisioni della giurisprudenza. La decisione della Corte, infatti, potrebbe rendere molto più difficile per un gruppo impegnato nel cosiddetto “gambling” l’apertura di una sede locale in uno degli stati membri.
La decisione, scaturita in seguito alla denuncia della “Santa Casa da Misericordia de Lisboa” per un contratto di sponsorizzazione di Bwin in Portogallo, impone però il muro della criminalità in cima alle motivazioni del blocco: «il divieto imposto ad operatori come Bwin che offrono giochi d’azzardo tramite Internet può essere giustificato dall’obiettivo di lotta contro la frode e la criminalità», il che consegna agli stati un forte potere di controllo nei confronti delle aziende operative nel settore. La conferma viene da Rupert Hornig, rappresentante European Lotteries: «Questo rafforza la possibilità dei governi e delle lotterie nazionali di controllare quali giochi d’azzardo siano disponibili online».
La sfida di Bwin (e gruppi similari) agli stati membri poneva sul tavolo la volontà di garantire libera attività e libera circolazione di capitali all’interno dell’UE, puntando ad estendere al gioco d’azzardo quelli che sono principi universalmente riconosciuti all’interno dell’Unione. La decisione, però, è stata contraria e basata su una sorta di “concessione” alle restrizioni statali in virtù di un vuoto legislativo che impone, anzitutto, prudenza: «la Corte ha esaminato se la libera prestazione di servizi osti alla normativa portoghese nella parte in cui vieta ad operatori quali la Bwin, con sede in altri Stati membri, in cui forniscono legalmente servizi analoghi, di offrire giochi di azzardo tramite Internet sul territorio portoghese. Nell’ambito di tale esame la Corte ha ritenuto, in primo luogo, che la normativa portoghese costituisce una restrizione alla libera prestazione di servizi. La Corte ha tuttavia ricordato che restrizioni alla libera prestazione dei servizi possono essere giustificate da motivi imperativi di interesse generale. Infatti, in assenza di un’armonizzazione comunitaria in materia di giochi d’azzardo, gli Stati membri sono liberi di fissare gli obiettivi della loro politica in tale settore e, eventualmente, di definire con precisione il livello di protezione voluto. La Corte ha tuttavia rammentato che le restrizioni che gli Stati membri possono imporre devono soddisfare alcune condizioni: esse devono essere idonee a garantire la realizzazione degli obiettivi invocati dallo Stato membro interessato e non devono andare oltre quanto necessario ai fini del loro conseguimento».