L’ha notato nientedimeno che il New York Times, spulciando nel fiume di parole spese per la copertina del Time e andando indietro nel tempo: Mark Zuckerberg, uno dei pochissimi giovani e rappresentanti del mondo tecnologico a essersi guadagnato questo ambito riconoscimento, si è espresso col contagocce su Wikileaks e Julian Assange. E ha fatto una magra figura.
Già, pare proprio che il 26enne multimiliardario fondatore di Facebook (impresa che sta salendo rapidamente la vetta dei colossi del Web) sia oltremodo parco nelle dichiarazioni che possono in qualche modo mettere in cattiva luce la sua creatura e il suo profilo personale. Niente di strano, è il “politically correct” che spesso anche nei giovani americani esce dalla porta e rientra dalla finestra.
Secondo il Nyt, però, è veramente poco understatement da parte di uno come lui non avere niente di meglio da dire su una vicenda incredibilmente complessa come quella di Wikileaks che queste poche dichiarazioni:
Beh, a un livello molto elevato alcuni dei temi potrebbero essere collegati. Voglio dire che per lo più facciamo in modo di poter capire cosa sta succedendo insieme alle persone intorno a noi perché pensiamo che questo aiuta a connetterci in modo più ampio.
La storia di Wikileaks è affascinante, ma semplicemente credo che non siamo in alcun modo vicini alla sua fine. Personalmente, da quanto ho letto, sento di non capirne abbastanza per commentare esaurientemente, quindi non lo farò.
Certo, c’è senza dubbio una serie di eventi affascinanti, così come registrare le reazioni delle istituzioni, noi comunque non ci svegliamo la mattina pensando di rovesciare le istituzioni.
Ma (Wikileaks) è una delle cose in grado di far condividere le opinioni tra amici o più in generale. E io davvero credo che ci sia questo concetto sotto quando si diffonde il materiale migliore.
Tutto qui? Questo si chiedono i giornalisti a stelle e strisce nelle ore delle congratulazioni per la copertina, quella dove i lettori avrebbero voluto vedere proprio Julian Assange. “Ci dispiace, avresti potuto fare di meglio”, scrivono i commentatori, delusi da questa freddezza.
Zuckerberg è famoso per spingere su privacy e trasparenza. Wikileaks sta scuotendo il mondo con quel paradigma, adottato a livello internazionale. Alcune persone lo amano. Alcune persone lo odiano. Zuckerberg avrebbe dovuto mostrarsi più preparato.
È vero però che Big F ha mostrato concretamente la sua posizione rispetto al Cablegate: il social network di Palo Alto è tra i pochi a non aver voltato le spalle, mantenendo la pagina, respingendo le pressioni e limitandosi a chiudere quelle inneggianti le azioni degli hacker.
Che sia solo l’imbarazzo per aver vinto un riconoscimento che molti avrebbero voluto dare ad Assange, proprio in queste ore liberato su cauzione in Inghilterra? Che Mark Zuckerberg non sopporti che proprio sul filo di lana qualcuno abbia avuto più popolarità di lui?
O forse è l’invidia perché l’australiano è capace di scrivere cose importanti come la difesa del suo lavoro poco prima di essere arrestato?
Se anche fosse, Zuckerberg sarebbe umano. In fondo anche questo lo rende simpatico.