Ma il P2P ha davvero un impatto negativo sulle vendite di CD? È una
questione annosa, che si ripropone ciclicamente all’uscita dell’ennesimo studio
più o meno accurato. Ce ne siamo occupati in un altro Focus
(aprile 2004) a proposito della ricerca di due economisti delle università
di Harvard e North Carolina che, nel bel mezzo delle prime ‘retate’ anti-P2P,
sembrava smentire l’assunto tanto caro alle associazioni dei discografici. Quello
secondo cui è proprio il file sharing la prima causa del crollo di vendite
di musica distribuita sui supporti tradizionali.
Lo studio
[formato PDF] di Oberholzer e Strumpf è fra quelli presi in esame da
Rufus Pollock, PhD in Economia a Cambridge, per la sua comparazione
di alcune delle principali ricerche dedicate all’argomento. Gli altri sono quelli
di Alejandro
Zentner [formato PDF] (Università di Chicago), di Rafael Rob (Università
della Pennsylvania) e Joel Waldfogel (Wharton School), di David
Blackburn [formato PDF] (Harvard). Sul sito di Pollock è presente solo
un sommario dei risultati, utile e sufficiente comunque per avere un quadro delle
conclusioni a cui giunge.
Relativamente all’oggetto in discussione, che è poi la domanda da cui
siamo partiti, Pollock sostiene che, con tutti i limiti metodologici che ciascun
lavoro porta con sé, "siamo comunque in grado di poter fornire risposte
con un certo grado di certezza". Il dato di fondo è che lo scambio
di file musicali sulle reti P2P ha un impatto negativo sulle vendite. Il punto
controverso riguarda piuttosto la misura, la quantificazione, di questo effetto
negativo. "Il range va dallo 0 al 100%" – afferma – "ma un dato
che si assesta tra il 20% e il 40% sembra poter rappresentare un punto di consenso
ragionevole". Attenzione. Come sottolinea l’autore, il dato va inteso in
questo modo: il P2P è responsabile al 20/40% del fenomeno nel suo complesso;
ovvero: posto che esiste un innegabile declino nelle vendite di CD, il file sharing
è ‘colpevole’ solo in parte. Non significa, insomma, che esso faccia vendere
un 20/40% in meno di CD.
È una chiarificazione importante perché evidenzia i limiti dell’approccio
al problema (calo delle vendite) intrapreso dalle major discografiche, accusate
da più parti di una sorta strabismo, per cui si individua un solo nemico,
ma non si è in grado di vedere altre cause di cui loro e solo loro sono
responsabili. Si pensi solo ai prezzi assurdamente alti o a casi come quello del
rootkit Sony.
Un altro dato interessante riportato da Pollock riguarda il differente impatto
del file sharing sui singoli artisti a seconda della loro popolarità. La
ricerca di David Backburn sembrerebbe dimostrare che ad essere danneggiati sono
essenzialmente gli artisti più popolari (1/4 del totale), mentre per molti
altri lo scambio di file si tradurrebbe addirittura in un guadagno a livello di
vendite (è la riproposizione della teoria secondo cui per gli artisti emergenti
o sconosciuti il P2P può diventare un eccellente sistema di promozione).