L’esplosione della piattaforma petrolifera Deepwater Horizon nel Golfo del Messico, avvenuta a fine aprile, sta provocando uno dei disastri ambientali più gravi della storia: di conseguenza, la compagnia British Petroleum, responsabile della piattaforma, è alle prese con un caso colossale di “management della crisi“.
A prova di ciò, basta considerare il fatto che in un mese e mezzo le azioni della compagnia sono calate quasi del 50%. Come si sta muovendo British Petroleum per comunicare la crisi, in particolare nel Web 2.0? Un articolo di Umberto Rapetto su “Il Sole 24 Ore” del 10 giugno riporta la notizia di ingenti investimenti per posizionare il sito della compagnia al primo posto nelle ricerche su Google e Yahoo!, in USA, per parole chiave come “oil” e “oil spill”.
Ciò serve chiaramente per indirizzare chi cerca informazioni sul sito ufficiale della British Petroleum, che dedica una sezione speciale molto articolata alla “Gulf of Mexico Response“: si è fatto ricorso al Web 2.0 anche per ricevere idee e consigli dal basso, mentre Twitter, Facebook YouTube, Flickr e il sistema di Feed Rss vengono utilizzati per dare continui aggiornamenti.
Ai video caricati su YouTube attraverso il canale ufficiale, tuttavia, è stata disabilitata la funzione commento. Ciò vale anche per un video di “scuse” da parte del chief executive BP, Tony Hayward, che ha suscitato polemiche per il modo in cui è stato concepito e montato (quasi un video promozionale).
Nella pagina Facebook della compagnia è possibile fare commenti, ma c’è una politica esplicita di controllo: si vuole una conversazione “costruttiva e rispettosa” e ci si riserva il diritto di disabilitare i commenti che appaiano “osceni, indecenti o volgari”; o ancora, che contengano attacchi “ad hominem” o siano diffamatori e ingiuriosi.
Una nota curiosa, in tutta questa vicenda, è che nel menu relativo alla voce “About BP”, la parte relativa alla “nostra storia” è accompagnata da un’immagine dei Puffi: personaggi che sono associati a un immaginario ecologista, per quanto ingenuo. Da un punto di vista ecologico, poi, uno dei verbi più utilizzati in questa vicenda, “risarcire”, significa poco: in un sistema complesso come lo sono quelli ecologici, superata una certa soglia, i danni hanno conseguenze irreversibili. Considerando gli sforzi e gli investimenti di British Petroleum, resta da chiedersi se “ripulire” il Golfo del Messico è impresa tanto difficile quanto “ripulire” la propria immagine nel Web.