Mark a breve avrà una seconda figlia. Il suo annuncio, giunto su Facebook per condividere la propria gioia con il mondo intero, dovrebbe però anche aiutare Zuckerberg a fare una riflessione più profonda su quella che è la sua immensa community. Partendo da un dato semplice, alla base della pedagogia o più semplicemente alla base della vita quotidiana di qualsiasi genitore con i propri figli: dire di “no” non serve se non si accompagna il diniego anche con il “perché”. Così come non serve la sanzione: non si sgrida un figlio se non gli si è detto prima il perché. E non lo si mette in castigo se non gli si dice la motivazione. Semplicemente, sarebbe inutile: tutto sta nella discussione, perché nella discussione ci si capisce e ci si spiega, arrivando alla peggio ad una sanzione anche in caso di mancato accordo.
Per estensione Mark dovrebbe notare che questo meccanismo si è nel tempo esteso più in generale al concetto di democrazia, ove tutto è basato sulla concertazione e sul dialogo tra persone, istituzioni e comunità. Quand’anche le cose non funzionano alla perfezione e c’è una magistratura chiamata a giudicare, tutte le parti hanno la possibilità di dire la propria in attesa di una sentenza che metta ordine.
Mark non può ignorare queste dinamiche ormai, perché Facebook è oggi la più grande famiglia e la più grande civiltà al mondo. Sorretta, però, da basi troppo fragili. E un impegno a fare un passo è richiesto da tutti: sia da chi ama il social network, sia da chi lo vede alla base di ogni problema del mondo. Una assunzione di responsabilità, da una parte, ma anche un semplice impegno ulteriore per far sì che le regole possano esistere e formarsi in modo più continuo e intelligente.
Sesso, droga e pastorizia
Questa riflessione non nasce a caso. Perché in queste ore si sta consumando l’ennesimo scontro tutto italiano sul modo di stare online: alla “Sesso, droga e pastorizia“, oppure alla “Selvaggia Lucarelli“, in ogni caso a colpi bassi da entrambe le parti. La decisione di Facebook è infine arrivata: la pagina sia chiusa, subito.
In questa sede non è importante ove stia la ragione. Quel che è importante è il modo in cui la battaglia si consuma, generata da un mix del peggio che la storia abbia messo assieme: l’ostracismo di chi segnala e il ritorno di fiamma delle faide incrociate. Il meccanismo di Facebook, basato esclusivamente sulla sanzione, non fa altro che alimentare questo attaccamento compulsivo alla sanzione: quando nasce una contrapposizione non c’è elemento alcuno che cerchi di fare incontrare le parti per uscirne con messaggi educativi, ma si si abbandona tutti alla spirale che porta verso il giudice social, arbitro in terra del bene e del male.
Ecco perché questa è una brutta vicenda. Perché la questione non è realmente oggetto di disamina, si mettono assieme i contenuti di autori e commentatori, si arriva ad esacerbare la contrapposizione e infine si arriva ad un rito abbreviato che premia sempre la parte che sporge metaforica denuncia. L’ecosistema circostante non è in grado di metabolizzare quanto accade e il tutto rimane quindi sul terreno tra cocci di community, minacce di denuncia e acredine non biodegradabile.
Senza mettere in piedi alcun tribunale social-popolare, Google ha fatto scuola: ha imposto la legge dei propri algoritmi usando il giusto mix di segretezza, trasparenza, sanzioni e informazioni. Bastone e carota tutti i giorni, migliorando le proprie SERP fino ad imporsi come imperatore unico della ricerca online. Se non avesse fatto così, negli anni sarebbe stato certamente detronizzato. Ora tocca a Facebook, e Mark deve capire che per crescere una famiglia servono bastone e carota, purché accompagnati entrambi da regole chiare e spiegazioni puntuali. Aprendo la discussione quanto più possibile, ma senza lasciare zone grigie.
Chi si schiera è complice
Non siamo qui per schierare Webnews con una parte o con l’altra: l’interesse, semmai, dovrebbe essere quello di operare in un ecosistema equilibrato e regolamentato, fatto di dinamiche trasparenti e meritocratiche. La ricerca di una utopia, forse, ma sul Web questa chimera deve ancora trovare spazio.
Schierarsi significa alimentare ulteriormente la contrapposizione ed abbattere ulteriormente la bontà del dibattito. Il caso Sesso, droga e pastorizia possa servire, almeno in piccole nicchie, a stimolare la capacità di pensare nuove regole e nuovi equilibri del vivere online. Immaginando un mondo ideale ove ci si possa prendere qualche libertà, ma al tempo stesso si tolleri quando a farlo è qualcun altro.
Se si riuscirà a realizzare ciò per community da 1,7 milioni di persone, con buona probabilità lo si riuscirà a fare anche in una grande democrazia o in una assemblea di condominio. Il che è però cosa afferente soprattutto l’uomo nella sua cultura e nella sua integrità: Facebook, democrazie e riunioni di condominio sono soltanto l’esame finale.