Tra le tante strategie di marketing in voga negli ultimi anni ce n’è una che mi ha sempre incuriosito particolarmente. Come già accennato dal titolo, sto parlando del marketing olfattivo: una “branca” dell’ambient marketing che lavora a stretto contatto con la psicologia del profumo.
Se da un lato questo scenario appare intrigante e curioso, l’altra faccia della medaglia si dimostra insidiosa e richiede particolare attenzione. Immaginate infatti il danno che può causare la “non riuscita” di una campagna di marketing olfattivo. Il rischio di associare la fragranza sbagliata ai propri prodotti e marchio va calcolato con minuziosità.
Fatta questa premessa vorrei procedere all’illustrazione di quello che, dopo attente letture di articoli e altro materiale informativo, ho inteso come il concetto di base sul quale fare le dovute considerazioni.
Come brevemente spiegato in questo articolo tratto dal portale Profumo.it, la strategia si concentra principalmente sullo studio del logo olfattivo.
Con questo termine si intende l’odore ideato per essere associato ai supporti pubblicitari e di vendita tradizionali: ad esempio su carta nella pubblicità in una rivista o diffuso nell’aria all’interno di un punto vendita. Il logo olfattivo se ben studiato aggiunge un gran valore all’immagine del proprio business.
Tuttavia, solo studi approfonditi possono garantire una riuscita della strategia. Le analisi devono riguardare le preferenze del target in tutta la loro specificità, non limitandosi a individuare i gusti “di superficie”.
Prima di valutare l’efficacia o meno di una tecnica del genere, vorrei lanciare una discussione.
Accertati i margini di rischio e gli alti costi (studi sociologici e psicologici, test, produzione) quanto questa strategia di marketing può essere considerata efficace? Le piccole realtà possono avere accesso a questo scenario o la fruibilità è limitata agli elitari (boutique d’alta moda, grandi magazzini, produttori di profumi, ecc…)?