Proprio nei giorni scorsi si è parlato su queste pagine di un nuovo cavo sottomarino che verrà posato da Google e alcuni partner per migliorare e rafforzare la connettività tra il Giappone e l’Australia. Un’opera che ci aiuta a capire come avvenga la trasmissione delle informazioni sulle lunghe distanze: nell’era del cloud e del mobile, abbiamo più che mai bisogno di qualcosa di estremamente concreto e tangibile come un cavo in fondo all’oceano per inviare e ricevere dati. Spostiamoci sulla costa occidentale dell’Africa, più precisamente in Mauritania, per comprendere come l’infrastruttura che costituisce lo scheletro del Web odierno sia ancora soggetta a notevoli criticità.
La scorsa settimana il paese è rimasto completamente offline per circa 48 ore. Tutto ha avuto inizio il 30 marzo, quando un danno subito dal cavo ACE (African Coast to Europe) ha creato problemi a molti dei 22 territori attraversati. Siamo parlando di un condotto che si estende dalla Francia al Sudafrica, trasportando dati. Tra i paesi che ne hanno risentito, la Mauritania ha subito i maggiori disagi, poiché a differenza di altri stati non dispone di infrastrutture alternative terrestri o satellitari che possano farsi carico della redistribuzione del traffico. Fra il 30 marzo e l’1 aprile, dunque, per i suoi oltre tre milioni di abitanti non è stato possibile accedere al Web.
Eventi di questo tipo offrono un ideale spunto di riflessione su come l’accesso a Internet e alle informazioni online possa facilmente essere messo a rischio per intere popolazioni. Iniziative come Project Loon di Google o il drone Aquila di Facebook per offrire connettività dall’alto mirano a risolvere il problema, ma si tratta di progetti al momento sperimentali e che nella migliore delle ipotesi necessiteranno di qualche altro anno di perfezionamenti prima di mostrare la loro efficacia.