Il delitto Rea si tinge del blu di Facebook: gli inquirenti sono infatti convinti che da qualche parte, nei server del social network di Palo Alto, ci possano essere indizi su Salvatore Parolisi, sospettato di essere autore dell’omicidio della moglie, Melania Rea, uccisa lo scorso aprile nel bosco di Ripe di Civitella.
Ancora una volta, dunque, un social network fornisce elementi di indagine su gravi episodi di cronaca. Abbiamo raccontato del caso Sarah Scazzi o del più recente caso Yara Gambirasio: quando un sito è frequentato da quasi tutta una popolazione e si ha l’abitudine di condividere grandi quantità di informazioni, può celare informazioni importantissime.
Per la stessa ragione, la sua pervasività può talvolta fornire dei pretesti per attacchi ingiurosi, o addirittura veri e propri depistaggi. Tocca alla magistratura sapersi muovere in questa giungla. Tanto che presto potrebbero nascere nuove professioni a metà tra l’esperto di social network e la consulenza investigativa.
Nel caso dell’omicidio della madre 29enne napoletana, c’è il forte sospetto che le lunghe chat tra l’uomo e la sua amante, la soldatessa ed ex sua allieva Ludovica P., contengano parziali confessioni, ammissioni, elementi utili all’inchiesta.
Così, alcuni ufficiali dell’Arma dei carabinieri sono andati oltreoceano per visionare dati che soltanto i server di Facebook conservano. Una perquisizione a tutti gli effetti tra le cose personali dell’indagato, quindi, solo che nel Web 2.0 a volte si rende necessario prendere un aereo per la California.