Da anni le aziende Big Tech, inclusa Meta, la società madre tra le altre di Facebook e Instagram sono oggetto di dure critiche da parte di enti internazionali e associazioni di genitori con l’accusa di non essere riuscite a arginare l’effetto dannoso che le loro piattaforme hanno sui bambini piccoli. L’utilizzo crescente della tecnologia, cui la pandemia ha costretto i minori in questi mesi, ha purtroppo contribuito poi a una forte crescita degli abusi online e in generale dei pericoli digitali. Secondo quanto rilevato da Telefono Azzurro, per esempio, nel 2020, il 30,5% degli utenti che ha problemi su Internet soffre anche di problemi di salute mentale, il 13% dice di aver provato atti autolesivi, il 5% tentativi di suicidio e un 13% ideazione del suicidio.
Instagram e Snapchat sotto inchiesta
Nei giorni scorsi il problema è tornato prepotentemente alla ribalta negli Stati Uniti dopo la denuncia da parte di una madre nei confronti di Instagram e della società Snapchat a seguito della morte della figlia di 11 anni. La signora Tammy Rodriguez di Enfield, Connecticut, ha infatti intentato una causa per omicidio colposo contro le società madri di entrambe le piattaforme tecnologiche presso la corte federale di San Francisco.
La donna, assistita dallo studio legale Social Media Victims Law Center, che si propone di offrire una risorsa per i genitori di adolescenti vittime di depressione, disturbi alimentari, ricovero in ospedale, sfruttamento sessuale, autolesionismo o suicidio a causa del cyberbullismo sui social media, accusa Instagram e Snapchat di essere la causa della morte per suicidio della figlia 11enne, Selena, avvenuta lo scorso luglio.
La ragazzina era diventata succube dei due social, al punto che quando i genitori avevano cercato di impedirle l’accesso a Internet era scappata di casa. Una dipendenza definita dalla madre “simile alla droga”, come del resto le aveva detto un terapeuta dove Selena era stata portata per ricevere sostegno: “non ho mai visto una paziente dipendente dai social media come Selena”, aveva spiegato il medico.
L’accusa contro Meta e Snap
Per l’accusa ciò è stato dovuto a una serie di disfunzioni del sistema strutturale delle due piattaforme nei riguardi della tutela dei minori e dei più deboli, da una significativa debolezza dell’algoritmo di controllo dei contenuti dannosi e di sfruttamento, alla negligenza nel verificare l’età e l’identità degli utenti minorenni e alle caratteristiche irragionevolmente pericolose dei loro prodotti che creano dipendenza. “Siamo devastati nell’apprendere della morte di Selena e i nostri cuori vanno alla sua famiglia”, ha detto un portavoce di Snap. “Anche se non possiamo commentare le specifiche del contenzioso attivo, niente è più importante per noi del benessere della nostra comunità”.
Meta dal canto suo risponde invece che da tempo sta lavorando per cercare di proteggere i più giovani e vulnerabili sulla sua piattaforma. Ma l’accusa, e non solo della signora Rodriguez a dire il vero, è che queste iniziative sono in realtà blande e non offrono un adeguato controllo e monitoraggio parentale alle famiglie.
Ma l’accusa ha le idee chiare: “Questa non è una questione di opinioni. Documenti interni e testimonianze davanti al Congresso di un ex dipendente rivelano che Meta Platforms era pienamente consapevole dei difetti e delle proprietà di dipendenza delle sue piattaforme di social media e non è riuscita a progettare adeguatamente i propri prodotti per proteggere gli utenti minori dai danni”, ha affermato Matthew P. Bergman, fondatore di SMVLC.
“Allo stesso modo, su Snapchat non ci sono salvaguardie. Il suicidio di Selena è il risultato diretto dell’inazione e del design deliberato che crea dipendenza di queste piattaforme di social media per depredare i bambini vulnerabili. Meta Platforms e Snap devono essere ritenuti responsabili del ruolo svolto dai loro prodotti nella perdita di vite umane per prevenire futuri suicidi e autolesionismo nei confronti degli altri utenti adolescenti”.