Lo ha scritto nero su bianco e non scherzava: nonostante sia uno dei più noti umoristi italiani (fondatore di “Cuore” negli anni ’80), Michele Serra nella sua quotidiana rubrica su Repubblica ha detto che Twitter gli fa schifo. Il social dei 140 caratteri ha subito reagito: è polemica.
Le parole di Serra partono da un piccolo evento, una serata davanti alla TV in compagnia di un amico più giovane “e più interconnesso”, del quale il giornalista ha notato la quantità spropositata di tweet in merito al conduttore del programma. Un classico esempio di hashtag in tempo reale su una trasmissione televisiva. Ma a Serra il dibattito non è piaciuto. Il motivo? Troppo tranchant.
«Il conduttore era per alcuni un genio per altri un *** totale, e tra i due insiemi, quello pro e quello contro, non esisteva un territorio intermedio. Era come se il mezzo (che mai come in questo caso è davvero il messaggio) generasse un linguaggio totalmente binario, o X o Y, o tesi o antitesi. Nessuna sintesi possibile, nessuna sfumatura, zero possibilità che dal cozzo del ‘mi piacÈ e ‘non mi piacÈ scaturisse una variante dialettica, qualcosa che sposta il discorso in avanti, schiodandolo dal puerile scontro tra slogan eccitati e frasette monche.
Poiché non è data cultura senza dialettica, né ragione senza fatica di capire, la speranza è che quel medium sia, specie per i ragazzi, solo un passatempo ludico, come era per le generazioni precedenti il telefono senza fili. E che sia altrove, lontano dal quel cicaleccio impotente, che si impara a leggere e scrivere. Dovessi twittare il concetto, direi: Twitter mi fa schifo. Fortuna che non twitto…”
Naturalmente #MicheleSerra è già diventato un trend topic su Twitter, dove a ritmo forsennato ci si scambia opinioni su questo parere sicuramente tagliato con l’accetta. Certamente Serra ha colto un aspetto tipico del Web, la polarizzazione, ma quella che sembra essere una robusta lontananza dalla Rete gli ha fatto credere di averla trovata nello specifico in Twitter. Intuisce un problema, ma centra un bersaglio piccolo.
La polarizzazione, le tribù di Internet sono invece un tema già affrontato prima del successo di Twitter: basti pensare a quel che scriveva alcuni anni fa un guru del Web come Jason Lanier che nel suo “You’are not a gadget” sottolineava come:
“Un coro collettivo non può servire a scrivere la storia, né possiamo affidare l’opinione pubblica a capannelli di assatanati sui blog. La massa ha il potere di distorcere la storia, danneggiando le minoranze, e gli insulti dei teppisti online ossificano il dibattito e disperdono la ragione.”
Sul microblogging si alternano giudici sferzanti, ma più spesso ragionati – qui forse smentendo proprio l’analisi di Serra – che pur capendo le critiche pensano anche che Serra prima dovrebbe provarlo. Come Federico De Gregorio che scrive:
“michele serra sbaglia… twitter è breve non troppo semplice, lo provi prima di giudicare”
MatteoStagi definisce “severo ma giusto” Serra e la sua amaca, che riproduce, mentre Andrea Scanzi sul blog del Fatto Quotidiano pubblica un articolo a caldo in cui parafrasando Andreotti afferma che:
“Twitter, come tutti i mezzi, non è sbagliato in sé. Se usato male, è mera autoreferenzialità (che Serra conosce benissimo, come tutti noi). Se usato benino, è puro divertimento (che Serra conosceva benissimo). Se usato bene, è palestra di scrittura e umorismo (di cui Serra era, e a volte è, maestro). Più che far schifo, Twitter logora chi non ce l’ha. O non sa usarlo.”
E voi come la pensate? Cosa rispondereste a Serra?