Le carte bollate che circondano le trattative per la fusione tra Microsoft e Yahoo lasciano emergere alcuni interessanti dettagli relativi a quanto successo in passato senza mai giungere alle pagine di cronaca finanziaria. La prima cosa che si nota è il fatto che gli avvenimenti successivi all’offerta del 1 Febbraio 2008 sono solo la punta di un iceberg che affonda fino al Gennaio 2007, quando per la prima volta Microsoft portò avanti un’offerta consistente al board di Sunnyvale.
Dodici mesi prima dell’offerta pubblica, Steve Ballmer aveva già formalizzato un’offerta da 40 dollari ad azione. Tale offerta fu però respinta dall’allora CEO Terry Semel, il quale ha poi dovuto cedere il proprio posto in seguito all’incedere al ribasso delle azioni e nell’impossibilità di rilanciare con entusiasmo le prospettive del gruppo. Tra le mani, però, Semel già ebbe la via di uscita di Microsoft, via però sempre respinta proponendo in alternativa un accordo di collaborazione che avrebbe potuto favorire entrambe le parti.
Altro pepe scaturito dalle carte bollate è relativo alla posizione di Google. Se oggi Jerry Yang (subentrato a Semel) usa Google come leva di contrattazione, in verità l’ipotesi è stata scartata molto tempo addietro con motivi oltremodo chiari. Alcuni messaggi interni, infatti, rendono evidente l’avversione ad un “outsourcing” degli strumenti promozionali perchè, se pure la cosa restituirebbe effetti positivi nel breve periodo, si rivelerebbe invece assolutamente deleteria per le prospettive di lungo periodo. L’ipotesi Google, scartata anzitempo perchè impraticabile, è ora utile per le manovre che potrebbero portare ad una cessione che tutti vorrebbero, ma che nessuno vuole alle condizioni proposte dalla parte avversa.
Yang è in difficoltà per un ulteriore problema. Dalle carte emergono infatti ulteriori manovre messe in atto per diminuire l’appetibilità di Yahoo agli occhi di Microsoft: i costi di acquisizione, infatti, sono stati alzati da 500 milioni circa ad oltre 2 miliardi di dollari tramite operazioni che vincolano i dipendenti all’azienda così che Microsoft debba sborsare cifre importanti per riorganizzare la forza lavoro o rimuovere i dipendenti dai propri incarichi. Tale manovra è ovviamente contraria alla creazione di valore per gli azionisti ed il tutto è stato impugnato per muovere nuove accuse contro un board sempre più in bilico. In conseguenza di tutto ciò le carte sono diventate pubbliche per decisione della Corte (decisione poco apprezzata dai legali Yahoo, i quali però confidano nell’intangibilità delle accuse e contano in una solerte archiviazione).
Tra le parti vige il silenzio. La battaglia, almeno in apparenza, si sta combattendo tutta internamente a Yahoo, con Carl Icahn che ha ottenuto l’autorizzazione (pdf) dalla Federal Trade Commission ad acquistare ulteriori azioni per avere maggior peso nelle trattative e portare il board ad alzare bandiera bianca nel meeting di fine mese. Icahn mette sul tavolo 1,5 miliardi di dollari con i quali raggiunge l’11% della proprietà del gruppo, una quota decisamente rilevante che il board non potrà in alcun modo ignorare. Secondo l’analista Gene Munster (Piper Jaffray) a questo punto le manovre stanno lentamente avvicinando le parti verso un accordo che non dovrebbe causare scossoni, ma che per molti assumerà forte valore in divenire.