Il caso Microhoo è tutt’altro che finito. Un forte capitolo è stato scritto dalle reciproche lettere di Steve Ballmer e Jerry Yang, ma dopo certi approcci nulla può rimanere come prima. E nulla, infatti, è tornato come prima, a partire dalle quotazioni in borsa dei relativi gruppi. Tutto quel che non è stato detto, infatti, rimane da dire e da capire. Ma si riparte proprio da qui e, soprattutto, dai primi passi che ha mosso improvvisamente Yahoo.
Prima del grande “no”, Yahoo aveva un appuntamento che continuava a rinviare in attesa di novità. Trattasi della rielezione del board del gruppo, una riunione nella quale gli aventi diritto esprimono il proprio consenso ai fini della scelta del CEO e delle varie cariche direttive. Tale riunione è stata rinviata per settimane, ma appena Microsoft ha abbandonato Yahoo ha immediatamente indetto le votazioni entro 10 giorni. Il motivo va ricercato in quello che potrebbe succedere in tale sede.
Non tutti gli azionisti Yahoo sono stati contenti dell’operato di Yang. Anzi. Molti avrebbero voluto vendere: non vedono prospettive migliori, una cessione con un forte premio sul valore era considerata da molti un orizzonte sufficientemente lucroso per poter alleggerire il portafoglio azioni e voltare pagina. Il coraggioso diniego di Yang non è mai stato motivato con le cifre e gli sbandierati ipotetici accordi con fantomatici partner terzi non sono argomenti sufficientemente forti.
Un nome su tutti: Capital Research Global Investors, 16% delle azioni Yahoo. Gordon Crawford, colui che gestisce ben il 6% del capitale azionario del gruppo, si è pubblicamente dichiarato ostile alle scelte di Yang. Crawford, così come altri, potrebbero in occasione delle votazioni creare un “partito” contrario a Yang e puntare ad una elezione alternativa per cambiare il board ed intraprendere la decisione considerata migliore. Per fare tutto ciò, però, ci sono solo 10 giorni. Intelligentemente il board ha fissato in fretta tale riunione, così che la controparte non possa organizzarsi organicamente e Yang possa aver salva la sua posizione prima di portare avanti la linea strategica cercata (si ipotizzano accordi con News Corp, AOL, Google).
Davanti alla porta di Yahoo, insomma, potrebbero esserci in molti e non è detto che non possa tornare a bussare nuovamente anche Steve Ballmer. La borsa ed alcuni analisti ci credono, e tutto ciò non solo per spirito di scommessa: i precedenti ci sono. Il San Francisco Chronicle, ad esempio, cita l’operazione tra BEA e Oracle, ove un rifiuto all’acquisizione si è poi trasformato in una concretizzazione dell’affare. Citigroup stima inoltre nel 15% le possibilità residue di riuscita dell’acquisizione. E la borsa mantiene per Yahoo un valore ancora sufficientemente alto: dei 24 dollari di quotazione attuali, almeno 4 sarebbero costituiti da mera speranza. Un forte rischio per gli investitori che non fuggono, ma ad ogni rischio corrisponde tradizionalmente un forte interesse corrispettivo valutabile in quei quasi 50 miliardi di dollari messi sul piatto da Ballmer all’ultimo rilancio.
Lo stesso Yang, peraltro, possiede il 4% delle azioni Yahoo e non è certo nel suo interesse una svalutazione del suo pacchetto azionario. Yang, infatti, benchè guardi Ballmer allontanarsi, ancora non chiude la porta e dichiara pubblicamente che se Microsoft torna sui suoi passi sarà la benvenuta. Le trattative c’erano, Yahoo chiede solo di più. Insomma, sebbene lo strappo ci sia stato, nulla è irreparabile. Per questo motivo le azioni Yahoo rimangono appetibili. Per questo le azioni Microsoft non hanno recuperato (se l’operazione va a monte il gruppo ha maggior cassa e migliori conseguenze di breve periodo). Per questo nel pre-market YHOO segna +3% (poi in riassesto a quote più “normali”), per questo MSFT rimane invece stabilmente in rosso in attesa di nuovi segnali.
La partita non è finita. Certo, però, l’arbitro ha già alzato la segnalazione dei minuti di recupero.