Microsoft sarebbe sotto indagine negli Stati Uniti a seguito di alcuni sospetti casi di corruzione in alcuni paesi esteri, tra i quali anche l’Italia. Le accuse indicherebbero i responsabili locali del gruppo impegnati in generosi “omaggi” ad alcuni consulenti nel tentativo di assicurare contratti governativi al gruppo.
Le accuse, delle quali ha dato notizia il Wall Street Journal, partono dalla Cina e si estendono alla Romania ed al nostro paese. In tutti i casi, e con dettagli specifici per i vari territori coinvolti, il meccanismo additato sarebbe stato similare: i dipartimenti locali del gruppo di Redmond avrebbero corrotto alcuni consulenti determinanti per l’ottenimento di appalti di fornitura software presso le pubbliche amministrazioni. Tale procedura avrebbe assicurato all’azienda contratti di sicura appetibilità, ma il tutto sarà ora oggetto di specifici approfondimenti destinati a coinvolgere tanto gli USA (a seguito della possibile violazione della Foreign Corrupt Practices Act) quanto le magistrature dei paesi tirati in ballo.
In Italia, spiega il WSJ, viaggi e regali sarebbero stati il tramite utilizzato per oliare il sistema e facilitare l’ottenimento di appalti governativi. Al momento non vengono fatti nomi né ipotesi, ma le accuse tirano in ballo direttamente l’estensione nazionale del gruppo. Non essendoci datazione precisa per i fatti oggetto di indagine non è neppure chiaro se le vicende in esame facciano riferimento al periodo in cui alla guida di Microsoft Italia v’era Pietro Scott Jovane (passato poi in RCS) o a tempi più recenti, sotto la nuova reggenza di Carlo Purassanta.
L’azienda, con un immediato post di risposta firmato John Frank (Vice President & Deputy General Counsel), ricorda anzitutto come accuse di questo tipo siano spesso formulate in ogni parte del mondo in virtù della grande estensione di una multinazionale che agisce in 112 nazioni, con 98 mila dipendenti e 640 mila business partner. Il gruppo spiega tuttavia di tenere in ferma considerazione accuse di tale gravità e promette piena collaborazione. Non solo: Microsoft ricorda di spendere già circa 2 milioni all’anno in ogni singolo paese (coinvolgendo ben 170 dipendenti su questo singolo ruolo di verifica) per tentare di garantire piena rispondenza alle policy aziendali, ma sul numero non è possibile evitare che qualche “mela marcia” possa agire in violazione delle regole.
Il gruppo spiega di voler intraprendere specifici approfondimenti, scaricando di fatto ogni eventuale responsabilità effettiva sulle realtà nazionali del gruppo ed assicurando eventuali “azioni appropriate” nel caso emergano comportamenti contrari alle regole. «Ci assumiamo questa responsabilità con serietà». Indagini effettuate da responsabili esterni avrebbero già approfondito la questione sul territorio cinese, ove l’accusa ha avuto origine da un ex-dipendente (il quale avrebbe spiegato come sia stato ai tempi istruito ad agire per “facilitare” le commesse), senza tuttavia portare in evidenza alcun illecito.
Il rischio per il gruppo è relativo, limitato a possibili sanzioni di scarso peso specifico. Tuttavia il danno di immagine potrebbe avere una portata che va oltre le sole sanzioni comminate, mettendo peraltro in discussione la bontà dei contratti fin qui ottenuti nei vari paesi che l’indagine tira in ballo. Italia, quindi, compresa.