La storia dell’information technology ha portato ad uno stato attuale delle cose tale per cui identità e tempo diventano concetti sempre più labili e frammentati. L’identità si polverizza in una molteplicità di account e di riferimenti, mentre il tempo si annulla divenendo una sommatoria di istanti in cui la durata e la memoria si svuotano di significato: qui, io, ora e poco altro.
Con un brevetto Microsoft lascia intendere di avere però altri progetti per il mondo dell’informatica. Il primo passo, ovviamente, è la registrazione dell’idea, già archiviata con identificativo 20070011109 in data 11 Gennaio 2007. Trattasi dichiaratamente di un progetto di lungo periodo e dai contorni ancora non delineati in quanto proiettato su quel che la tecnologia saprà offrire volta per volta. Il principio di fondo, però, è chiaro fin da subito: Microsoft offrire ai propri utenti una sorta di connotazione immortale. Il tutto, non a caso, prende il nome «immortal computing» ed è registrato presso l’USPTO come «Immortal information storage and access platform».
Il brevetto esplicita l’idea per cui ogni persona potrà costruire una propria immagine da lasciare in eredità ai propri discendenti dopo aver passato l’estrema soglia. La conservazione sarebbe garantita per decenni, secoli, rendendo peraltro sicuro l’accesso alle informazioni tramite “chiavi” di particolare affidabilità quali il DNA della persona. I dati conservati potranno essere in forma di file o di ologrammi, determinando in ogni caso una raffigurazione con cui i discendenti e le future generazioni potranno in qualche modo interagire per accedere così alle informazioni del passato.
Il brevetto va oltre, definendo nei dettagli quelle che saranno le modalità di conservazione e lettura delle informazioni archiviate. Formalmente il tutto è registrato presso l’ufficio brevetti USA a nome Microsoft, ma l’invenzione passa ai posteri a nome di Andrew Wilson, Eric Horvitz (membri del gruppo di ricerca Microsoft “Adaptive Systems and Interaction“) e Dimitris Achlioptas.