Microsoft ha raggiunto quota 10 mila brevetti. La teoria vuole che lo statuto storico dei brevetti sia in crisi, che la messa in discussione della normativa in proposito possa farne scricchiolare le basi. In realtà tanto Microsoft quanto altri gruppi investono continuamente nella protezione della proprietà intellettuale e la corsa al brevetto sembra, invece che perdere di importanza, accelerare ogni giorno di più.
La segnalazione relativa al raggiungimento del simbolico traguardo giunge da CNet: il brevetto che fa cifra tonda tutela nella fattispecie il collegamento tra gli oggetti reali e gli oggetti virtuali (o insieme di dati) che possono comparire su interfacce in stile Surface. Così facendo la base elettronica funge da simulacro della realtà e permette di controllare quest’ultima tramite la semplice interazione con gli oggetti virtuali. A capo del progetto v’è Curtis Wong, curiosamente lo stesso nome già nel team che stava dietro il brevetto numero 5000 (Wong avrebbe già firmato circa «4 dozzine» di brevetti made in Redmond).
Il concetto di copyright è molto forte nei grandi gruppi e Microsoft non fa eccezione. Microsoft, anzi, ne fa vera e propria mission aziendale, offrendo particolari riconoscimenti ai dipendenti che formulano tecnologie che vanno a brevetto e gestendo un piccolo esercito impegnato ogni singolo giorno sulla registrazione e la gestione dei brevetti del gruppo. Ogni anno Microsoft registra qualcosa come 2500/3000 brevetti (il numero è frutto di una media, ma negli ultimi tempi il quantitativo di brevetti registrati è notevolmente aumentato), la gestione dei quali è affidata ad un team di 100 elementi, 40 dei quali scelti nel ramo legale.
Bart Eppenauer, responsabile Microsoft per la protezione della proprietà intellettuale, usa due sagaci metafore per descrivere il ruolo dei brevetti nella mission del suo gruppo. Innanzitutto si parla dei brevetti come di un «testamento», una lista analitica delle eredità che il gruppo lascia a sé stesso ed al mondo della tecnologia; dall’altra i brevetti sono descritti come «valuta», una sorta di moneta tecnologica da usare per scambi e compravendite. In ogni caso, insomma, il brevetto è considerato come un valore.
Nelle stesse ore in cui quota 10000 viene superata, un caso emblematico giunge a confermare le tesi di Eppenauer. Da poche ore, infatti, Google ha lanciato Google Sync, l’utility per la sincronizzazione dei dati tra il mondo “cloud” ed il mondo mobile. Google non avrebbe però potuto avviare il progetto se non passando tramite un accordo con Microsoft per la licenza relativa all’utilizzo sotto proprio brand di un protocollo di sincronizzazione (Exchange ActiveSync) brevettato a Redmond. Un brevetto da una parte utile, dall’altra obbligato: brevettare una tecnologia significa in qualche modo poterne detenere il controllo, ma negarne la licenza significa ostacolare la libera concorrenza (e Microsoft in passato ha già dovuto affrontare problematiche simili presso i tribunali della Commissione Europea).
Horacio Gutierrez, vice presidente Microsoft per la Proprietà Intellettuale e le Licenze, ricorda a tal proposito come negli ultimi 5 anni siano state accordate circa 500 licenze, il che dovrebbe confermare l’apertura Microsoft a questo tipo di business. In realtà la Commissione ha voluto punire in passato la scarsa documentazione e la limitata apertura di tecnologie specifiche, circostanze nelle quali il brevetto da arma di protezione diveniva arma di chiusura. Si annida in questo meccanismo la protesta che da anni ormai porta avanti il verbo del copyleft o comunque della rilettura dell’attuale normativa che regola la registrazione dei brevetti e la tutela della proprietà intellettuale.