Quando ci si immerge nella filosofia della sostenibilità, troppo spesso si scade in luoghi comuni e nell’abbracciare teorie semplicistiche fatte di innovazione ed ecologia un tanto al chilo. Quando il tutto è declinato all’urbanistica, a maggior ragione, la polarizzazione tra futurismo e tradizione svuota il dibattito del necessario senso critico per tutte quelle che sono le sfumature intermedie e le opportunità ulteriori. In contrapposizione a questo approccio si inserisce il Miglio Artistico, un progetto che esce dalle righe per offrire una lettura alternativa di urbanistica, sostenibilità ed innovazione. Ed è un progetto portato avanti da Eni, conseguenza di una maturata consapevolezza delle responsabilità sociali e ambientali che una attività di impresa deve far proprie quando va ad inserirsi in contesti naturali e sociali antecedenti, secolarizzati e radicati nel DNA della cultura locale.
Val d’Agri, Basilicata
Il progetto nasce in Val d’Agri, località della Basilicata nella quale il fiume Agri ha scavato la distanza tra i monti Sirino e Volturino. In questa zona convivono due realtà apparentemente opposte: un parco nazionale di grande bellezza (protagonista del film “Basilicata coast to coast“) e un giacimento petrolifero di grandissima importanza per l’intera nazione. Il Miglio Artistico è per molti versi il sigillo su questa convivenza, è la certificazione sul modo in cui Eni ha voluto custodire questi due grandi valori di interesse collettivo.
Il Miglio Artistico è un modo per trasformare un muro in un’opera d’arte. Ma si va oltre le semplici definizioni di “muro” e “opera d’arte”, perché entrambi hanno un significato intrinseco e la partita si gioca proprio sul piano della semiotica: il significato è il valore che l’azienda intende scambiare con il contesto, instaurando un dialogo aperto e sincero. Il muro, proprio l’elemento che da sempre separa, diventa membrana permeabile che vuole consentire una trasmissione tra le parti.
Quel che divide, deve unire. Quel che isola, deve coinvolgere. Nulla va nascosto, ma occorre anzi mettere in mostra la vera identità del luogo e delle attività che danno un senso all’oggi. Il cuore del Miglio Artistico è in questo assunto fondamentale e il risultato finale è il frutto di un percorso di lungo periodo che agisce su più livelli.
Eni da sempre opera in Val d’Agri secondo un modello di sostenibilità che parte dalla valorizzazione delle specificità del territorio e dal sostegno alle vocazioni locali e all’identità dei suoi abitanti.
Il Miglio Artistico
Il Miglio Artistico è un progetto nato in seno al il Distretto Meridionale di Eni (DIME), messo in mano all’architetto Andreas Kipar del LAND Milano e applicato alle strutture del Centro Olio Val d’Agri (COVA).
Tale progetto nasce dalla consapevolezza che l’impianto industriale possa dare nuova forma fisica al luogo e al contesto nel quale è inserito, puntando alla creazione di un nuovo ecosistema produttivo, un simbolo di convivenza tra industria e ambiente
Il Miglio Artistico, nella fattispecie, è il primo lotto di un lavoro che prevede 8 livelli intrecciati di intervento: «muro esterni, verde interno e esterno, serbatoi di stoccaggio, percorsi interni, edifici, ingresso e parcheggio e illuminotecnica». Percorsi, edifici, illuminotecnica: tutti elementi che possono garantire una reinterpretazione completa e radicale di quel che è il rapporto tra un impianto industriale e il contesto nel quale è calato. Superficie e profondità, parco naturale e giacimento petrolifero, possono così coesistere in modo armonico trovando nel muro il perimetro del proprio ombelico.
Il muro trasformato in Miglio Artistico è stato affidato all’artista Raymundo Sesma, il quale ha così avuto a disposizione una tela lunga 1800 metri (lunghezza pari a poco meno di un miglio nautico) da valorizzare secondo la propria idea. Un’idea non nuova né estemporanea: l’artista lavora fin dal 1995 in un progetto di rinascita urbana in Messico, i cui valori sono ora stati traslati in Italia in continuità lineare con i principi del “Campo Expandido”:
Un concetto di architettura sociale che non consiste più solamente nel costruire un’architettura, ma nel costruire idee che abbiano un interesse nei confronti delle persone che ne usufruiscono.
L’arte di Sesma è fatta di integrazione e partecipazione, dà voce al riscatto sociale ed al coinvolgimento del territorio in cui va ad applicarsi. Sia la consapevolezza ad abbattere il muro nel nome della sostenibilità: scadere nella “tradizione” per evitare di tradire il contesto circostante sarebbe l’errore peggiore poiché andrebbe anzi a rimarcare differenze, divisioni ed eventuali volontà di nascondere. Per questo Raymundo Sesma introduce un concetto fondamentale per l’urbanistica delle città del futuro: «Mi sono immaginato una città del futuro. Capisco e mi piace la tradizione, ma nel senso di evoluzione della tradizione: se c’è una cosa che non possiamo proprio fermare, è il futuro».
In questo progetto l’impianto diventa una specie di laboratorio e il colore dà senso, significato, forma e identità ed è in grado di dare un nuovo valore paesaggistico ad un’architettura prettamente industriale, rivalutandola anche in termini economici.
Il dentro e il fuori
Il muro è quello del Centro Olio Val d’Agri e la sua funzionalità è quella di delimitare e proteggere i luoghi di lavoro dell’impianto. Tuttavia l’arte può farne scomparire le spigolature abbattendo tutto quel è referenza negativa. Di qui le scelte effettuate: luce e contrasti, ombre nette, colori che richiamano tanto il marchio eni quanto le opzioni cromatiche disponibili nella natura circostante. E il grigio, che non viene mascherato per il principio di trasparenza perseguito: «I grigi, presenti in due toni diversi, rappresentano il colore dell’industria e affermano l’identità dell’impianto all’interno della Valle senza negarla». E infine il verde, punto d’approdo finale, elemento di congiunzione tra il dentro e il fuori.
Dentro e fuori sono i due anelli che il muro vuol legare, perché è questo il percorso su cui deve svilupparsi il rapporto dialogico tra l’impianto e il contesto: il Centro Olio cerca integrazione e commistione, vuol lasciarsi intaccare dalla vallata fino a farla entrare. Il rapporto con il territorio e la sua comunità vuole essere sincero, sanguigno: l’elemento umano è la catena che unisce i due luoghi, che dentro e fuori condividono e si fanno veicolo dei medesimi valori. «Le linee sono tracciate per creare delle visuali preferenziali sull’opera retrostante, evidenziando e privilegiando dei “fotogrammi” all’interno della storia raccontata in 1800m». La continuità spaziale è garantita dal verde che arriva ad avvolgere il muro ed a confondere le due dimensioni: dentro o fuori, o forse entrambi allo stesso tempo.
Il progetto prevede la creazione di un percorso sensoriale attraverso diverse piante aromatiche-officinali che stimolano diverse aree del sistema nervoso. Il miglioramento della percezione visiva è affidato alla vegetazione bassa che permette un maggiore controllo dei margini e utilizza specie rustiche che garantiscono un piacevole e inaspettato effetto cromatico grazie a fioriture che si alternano nelle stagioni, tra i toni del bianco e del rosso, regalando nuovi scorci ai fruitori dell’impianto.
Stante la chiave di lettura scelta, il muro non proietta più un’immagine di artefatto a sé: in parte è schermo, che consente di andare oltre la superficie fino ad entrare nell’immagine trasmessa, ed in parte è specchio, tassello in continuità con quel che è il mondo esterno. In ogni caso è interfaccia.
“Interno” ed “esterno” meglio si addicono a descrivere quel che rappresenta il Miglio Artistico, perché i concetti più categorici di “dentro” e “fuori” sfumano grazie alla sensibilità artistica. Ed è proprio in questo esperimento il cuore di una possibile proiezione dell’urbanistica del futuro: reinterpretazione consapevole del contesto, lasciando che gli edifici possano essere abbracciati invece di essere condannati a nascondersi. Perché in realtà non c’è nulla da nascondere: c’è molto da condividere, c’è un rapporto da rafforzare, c’è una comunità a cui garantire ruolo e identità. E c’è un cane a sei zampe che scodinzola all’ingresso.