Esiste la possibilità concreta di connettere al secondo grado ciò che è già connesso: le auto, le strade, i sistemi di trasporto pubblici e privati. Questa nuova distribuzione dei servizi di mobilità ha una definizione: mobility as a service. La città di Helsinki è la prima che sta seriamente provando a farla, e l’Unione Europea la considera il modello sul quale imbastire tutte le altre metropoli nei prossimi anni.
Il paradigma della mobilità come servizio e non come infrastruttura si basa sull’idea che i cittadini (ci vuole una città per applicarla) possano acquistare pacchetti di mobilità che consentano di usare qualunque mezzo possibile per raggiungere una destinazione determinata senza più differenza tra i gestori e tra i dati. Ovviamente questo risultato è possibile soltanto con una integrazione massima delle piattaforme, cioè bisogna fare in modo che i bus, la metropolitana, il bike sharing, un taxi, un driver di Uber si comportino come fossero la stessa azienda, dalla policy all’apertura dei dati. Serve un livello di astrazione aggiuntivo, insomma, che stacchi definitivamente la persona dal guidatore delegando tutto all’interno di una strategia completamente integrata.
L’evoluzione esponenziale dell’information technology nel trasporto tende ad abbattere i confini tra le modalità: di fatto l’informatizzazione è un livello intermedio tra i mezzi e gli utenti, dove si parla il linguaggio dei dati. Per gli utenti, abituati al funzionamento dei social network, dei sistemi operativi e delle app dei loro smarphone, il focus non è più la modalità di trasporto, piuttosto la mobilità in sé. Di conseguenza, la mobilità può sempre di più essere vista come un “servizio di informazione con trasporto fisico”. Si stanno già calcolando anche i prezzi di questi pacchetti, che vanno dai 95 euro al mese fino a cifre molto più alte, probabilmente solo teoriche, ma che non devono spaventare: se si sommano tutti i costi dell’automobile e degli abbonamenti, si comprende il senso di questi servizi, che da un lato hanno l’ambizione di offrire di più e al contempo compensare la riduzione delle risorse pubbliche nei trasporti.
La mobility as a service dalla città finlandese di Helsinki è un buon esempio di queste possibilità estreme di intermodalità, sia per l’acquisizione dei principi generali sia per la sua originalità. È oggetto anche di tesi di laurea. La sua proposta è una interfaccia unica con i servizi offerti da un fornitore di servizi integrato unico – una società mista – che combina infrastrutture di trasporto, servizi di trasporto, informazione e servizi di pagamento. Un cambiamento di prospettiva colossale che oltre a richiedere uno sforzo di coordinamento tecnico ha bisogno, per svilupparsi, di nuove regole continentali che promuovano questo tipo di mobilità, generata da una politica comune e alimentata dagli stessi utenti e dal mercato.
Secondo Matthias Finger, direttore della sezione Trasporti della Florence School of Regulation, un nuovo quadro normativo per la mobility as a service dovrebbe partire da tre punti irrinunciabili: l’intermodalità come punto di partenza; gli utenti (cittadini e imprese) al centro del nuovo sistema di mobilità; il settore pubblico come abilitatore della mobilità, piuttosto che come fornitore diretto di servizi di trasporto. Basterebbe considerare quello che sta accadendo con Uber, anche in Italia, per capire quanto si è lontani da questo modello, che pure ha vantaggi economici ed ecologici evidenti, e qualche rischio da evitare, ad esempio il trattamento dei dati personali.
I trend dei consumatori
Quando si parla di mobilità come servizio integrato può essere utile partire da alcune proiezioni statistiche. Ad esempio, non tutti sanno che nonostante la popolazione attiva aumenti, il numero di patenti di guida diminuisce. Molti abitanti delle città ritengono sempre meno attrattiva l’idea di possedere un’automobile, e la motivazione dell’acquisto si sta spostando dalle motivazioni di prestigio alla reale necessità. Secondo uno studio di Deloitte, il 44% della popolazione europea è pronta a cambiare auto nei prossimi cinque anni a patto sia a propulsione alternativa. Anche il livello di autonomia sempre più alto di queste macchine non spaventa, anzi incoraggia le nuove generazioni.
I millennials tendono a considerare lo spostamento come un servizio che una città deve fornire senza che si possegga un mezzo proprio, per una serie di ragioni: la riduzione dei costi, la possibilità di lavorare mentre ci si sposta, una maggiore sicurezza del viaggio. Se si guarda all’Italia, i dati Istat del 15° censimento raccontano un paese dove ogni giorno 29 milioni di persone si spostano per andare al lavoro o a scuola e soltanto nel 13% dei casi usa il trasporto pubblico. Eppure i desideri sono identici a quelli dei coetanei europei, anche perché il tempo medio per lo spostamento si allunga sempre più ed arriva in alcune regioni a trenta minuti di media.
La soluzione del futuro sarà la mobilità intelligente come servizio. Tutto sta a comprenderne le potenzialità.