Il Tribunale di Padova ha disposto l’oscuramento di ben 493 siti Web italiani, il tutto per ottemperare alla richiesta di tutela proveniente dalla casa di produzione detentrice del marchio “Moncler“.
Secondo quanto rivelato da La Repubblica, la sentenza risale al 29 settembre e dispone l’oscuramento dei siti per due motivi principali: «introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi» e «vendita di prodotti industriali con segni mendaci». Se il caso sembra poter essere semplicemente riconducibile ad una battaglia contro la contraffazione, però, la verità sembra andare ben oltre l’ovvietà dei termini: la disposizione del GIP Lara Fortuna, infatti, colpisce i singoli domini che in qualche modo citavano il marchio Moncler, identificando quindi nella semplice citazione del marchio una violazione del trademark. Oscurati, infatti, alcuni domini parcheggiati senza utilizzo, siti privi di commercializzazione alcuna e vari riferimenti in cui non v’è traccia alcuna a merce contraffatta.
Fulvio Sarzana, avvocato esperto di diritto applicato alla Rete, definisce senza mezzi termini come «clamoroso» e «abnorme» il provvedimento sia per il quantitativo dei domini oscurati (mai un provvedimento si era manifestato con tale magnitudo), sia per le motivazioni alla base dell’iniziativa. Ed è una questione che rischia di risollevare antiche polemiche, antichi screzi sugli equilibri nell’attribuzione delle responsabilità e vecchi dissapori tra chi antepone la libertà di espressione e chi antepone il diritto alla tutela del proprio marchio:
Nel caso trattato dal GIP di Padova sembra proprio che il semplice nome di dominio associato al sito sequestrato, sia stato considerato di per sé elemento da cui far scaturire l’illecito contraffattorio.
Si tratta quindi in verità di un vero e proprio “sequestro preventivo” di nomi di dominio, “camuffato” da inibizione all’accesso per gli utenti italiani.
La richiesta giunta ai provider italiani, inoltre, in ordine alla ricerca attiva delle centinaia di siti internet da oscurare, contrasta contro l’elementare principio in base al quale i provider non possono essere considerati a tutti gli effetti gli sceriffi della rete.
Le possibili conseguenze distorsive di una sentenza di questo tipo sono del tutto evidenti: se non è possibile citare un marchio senza essere passabili di denuncia ed oscuramento, ciò significa che non è più possibile esprimere una propria opinione online senza aver ricevuto relativa autorizzazione a monte. Per una vetrina come eBay il rischio sarebbe ancor più accentuato:
Il precedente rischia di ripercuotersi seriamente sulle vendite effettuate tramite i portali di commercio elettronico quali Ebay, che potrebbero essere chiamate a rispondere in concorso con coloro che vendono beni ritenuti contraffatte su internet, e vedersi cosi chiuse le pagine delle inserzioni attraverso lo strumento del sequestro preventivo
Il caso è destinato a far discutere poiché il suo impatto sulla realtà va ben oltre le semplici finalità espresse di lotta alla contraffazione: è in ballo qualcosa di prezioso, qualcosa che la Rete non può ignorare. Perché il rischio è che, ancora una volta, una sentenza in tema di contraffazione vada a riscrivere i confini della libertà di espressione online.