Con le ultime tre cause che la MPAA ha fatto partire nei riguardi di siti che indicizzano copie non autorizzate di film (cioè siti che consentono il download di file torrent da altre destinazioni) la quota di risorse online a cui l’organizzazione ha fatto causa dal 2007 ad oggi sale a 13. Al momento però nessun contenzioso si è mai concluso in tribunale.
Gli ultimi tre siti citati in tribunale sono tutti sul territorio statunitense dunque di competenze delle autorità di quel paese. Le cause vedranno la Motion Picture Association of America opporsi a campusist.com, movies-on-demand.tv e sswarez.com, almeno in teoria. Fino ad ora infatti nessuna causa simile è mai arrivata ad una sentenza e si sono tutte concluse prima con un patteggiamento in favore della MPAA.
Spaventati dalle conseguenze e dalle spese che potrebbero trovarsi a sostenere, i siti rinunciano a procedere con la causa e preferiscono pagare poco e subito. Non è quindi ancora stato mai stabilito se simili pratiche legate ai torrent siano legali o meno. Ciò che fu stabilito per Napster e Grokster infatti non conta più: qui si tratta di stabilire se indicizzare è reato e, con un paragone non troppo ardito, già è noto che nei casi che coinvolgono i risultati di Google non lo è (almeno negli Stati Uniti).
Al momento ci sarebbe un solo caso in via di giudizio che riguarda un sito di torrent: è la contestazione legale che vede IsoHunt opposto alla MPAA nella corte di Los Angeles. Se non si dovesse giungere ad un patteggiamento, da quel punto di vista si potrebbe ottenere qualche risposta.
Intanto però l’atteggiamento del consorzio che riunisce i principali grandi studi cinematografici si fa sempre più aspro a causa della crisi galoppante e a dirlo è lo stesso capo dell’associazione Dan Glickman: «Se guardiamo a quello che succede la crisi economica rende il problema della pirateria in rete ancora più serio. Se non proteggiamo i diritti legati alla proprietà intellettuale le nostre perdite potrebbero aumentare».
L’associazione tra crisi e aumento della pirateria è abbastanza lineare ma non necessariamente corretta, specialmente perchè non si considerano le alternative che il mercato legale può mettere in piedi e si pensa che le motivazioni che spingono alla pirateria siano soprattutto economiche. In realtà ci sono cose più profonde che hanno a che vedere con il rapporto che i singoli intrattengono con chi produce, un rapporto spesso di antipatia che andrebbe risolto e di cui solo le etichette musicali stanno cominciando ad occuparsi. Non a caso la RIAA ha annunciato che le proprie strategie basate sulle battaglie legali sono definitivamente giunte a conclusione: facendo leva sugli ISP, l’associazione delle major della musica cercherà ora un approccio “soft” lontano dalle aule di tribunale.