Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma. E questo è vero soprattutto per la musica, l’elemento immateriale più concreto che possa esserci. Non è un caso se si fa riferimento alle melodie più emozionanti dicendo di essere stati “toccati” nel profondo: è una dimensione parallela, alla quale ora il mondo del digitale sta avvicinando le persone in modo sempre più rapido. La transizione in atto è quanto di più veloce e sfuggente ci sia: il mercato se ne è accorto in ritardo, gli utenti si son lasciati semplicemente travolgere e gli artisti ne hanno colta la portata in proporzione alle singole sensibilità. Ma la transizione è soltanto agli inizi, e di questo si è parlato alla Social Media Week di Roma in occasione del panel “La musica al tempo dei social: nuove opportunità ed orizzonti”.
Il dibattito è stato animato da Ernesto Assante (La Repubblica), Enzo Mazza (FIMI), Enrico Bellini (Google), Marco Alboni (Warner Music) e dal musicista rap ENSI.
Verso la social music
Il dibattito per la Social Media Week è stato messo sui binari del digitale dall’introduzione di Enzo Mazza, CEO Federazione Industria Musicale Italiana, il quale ha certificato, dati alla mano, i numeri dell’attuale andamento del mercato musicale globale. Partendo da un fatto su tutti: su un mercato complessivo da 15 miliardi di dollari, ben il 46% è già nella forma di bit. Metà del fatturato del mercato musicale, insomma, è già nella nuova dimensione, frutto del lavoro di studio e sperimentazione (chiaramente condito anche da molti errori e molti passi indietro) che il mercato discografico ha accumulato negli anni passati. Lo streaming è cresciuto dell’80% tra il 2013 ed il 2014 ed in questi mesi il trend è destinato ad accelerare (anche e soprattutto in considerazione del prossimo arrivo di Apple Music).
Se la musica passata con incredibile rapidità dal CD allo streaming, è perché prima di qualsiasi altro mercato quello musicale ha impattato nella rivoluzione che sta coinvolgendo ogni singolo aspetto dei tempi odierni. L’avvento del digitale ha implicazioni socioeconomiche ben più ampie di quanto non si potesse immaginare solo fino a pochi anni or sono e il riassetto degli equilibri è qualcosa che ha modificato radicalmente modi, processi e attori del sistema.
Oggi, nel bel mezzo di questa transizione, si può parlare a ragion veduta di “social music“: connection, curation ed engagement sono i nuovi paradigmi a cui fare riferimento e gli artisti del nuovo millennio stanno formattando quindi la propria forma mentis attorno a punti di riferimento ben diversi da quelli sfruttati dagli artisti della generazione antecedente.
Digital is the new normal
Marco Alboni, CEO Warner Music Italy, ha sottolineato come il digitale sia oggi un dato di fatto: non più un mercato parallelo, non più una nicchia da studiare, ma ha rapidamente conquistato una fetta fondamentale di utenti fino ad imporsi come nuovo baricentro dell’industria. Tuttavia la sensazione di Warner Music è che non si sia semplicemente nel mezzo di un ciclo destinato a chiudersi: di fronte v’è una transizione destinata a durare, una sorta di ciclo continuo che fa del cambiamento la nuova regola.
Ecco perché oggi catalogare stili e artisti diventa esercizio di stile futile e privo di significato: semplicemente la musica ha accelerato a tal punto le proprie dinamiche da non essere più assoggettabile alle catalogazioni fin qui adoperate (generalmente ascrivibili in passato a contesti culturali duraturi).
Tuttavia quel sta succedendo, pur sconvolgendo l’intero mercato, non cambia l’essenza che ne anima il cuore: la musica in sé. La musica è sempre stata condivisione, ad esempio. Ed ha sempre avuto una forte anima mobile (si pensi agli stereo portatili o ai Walkman che hanno anticipato i player MP3 e gli odierni device wearable). A cambiare, insomma, è tutto quel che dalla musica deriva: la logica “pull” ha sostituito la vecchia dinamica “push” (sebbene in Italia permangano ancora strascichi di un’eredità culturale che pesa con la propria inerzia sulle pulsioni odierne al cambiamento).
Una nuova democrazia
Parola agli artisti: alla Social Media Week il #nicetolinkyou è anche per il rapper ENSI, il quale ha raccontato la propria parabola da artista fai-da-te, in irriducibile posizione di protesta nei confronti delle case discografiche, a fenomeno della discografia che nelle etichette ha ora trovato un alleato. A mutare non sono stati né l’artista, né l’imprinting di mercato dell’industria: a cambiare è stato il contesto, e con esso il modo di rapportarvisi di artisti, industria e utenti.
Oggi la disintermediazione venutasi a creare ha dato sempre maggior importanza ai contatti diretti tra l’artista e la propria fan base, mettendo nelle mani delle case discografiche una maggior responsabilità nel recruiting e nel processo di tutoring degli artisti. Questi ultimi possono far leva sulla propria identità, rafforzandola e comunicandola al mercato, poiché è nella ricerca di una community che è possibile costruire una sfera di influenza fruibile e vendibile.
A mutare è stata inoltre la direzione. Mentre prima le etichette avevano il dovere di cercare gli artisti, oggi sono questi ultimi a doversi mettere in mostra cercando di conquistarsi il palcoscenico con creatività e impegno. Promuovere le proprie attività, sbarcare su YouTube, crearsi una community: molte sono le strade possibili ed i social media sono ingredienti obbligati per arrivare all’attenzione del gusto critico degli esperti di mercato. I quali in seguito debbono accompagnare l’artista non piegandolo a regole standardizzate, ma esaltandone le peculiarità per ottimizzare il percorso che l’artista medesimo ha già autonomamente intrapreso.
Google: «Siamo degli abilitatori»
Enrico Bellini, Public Policy and Government Relations Senior Analyst di Google, ha negato che il team di Mountain View voglia indossare le funzioni proprie di altri stakeholder. Piuttosto, Google si affaccia al mercato musicale odierno nelle vesti di “abilitatore“, offrendo una lunga serie di servizi che il mercato, nonché gli stessi artisti, possono sfruttare per accrescere la propria visibilità. Google, insomma, vuole creare semplici opportunità che chiunque può far proprie: YouTube, YouTube for Artists, YouTube Space, varie iniziative per l’evangelizzazione delle digital skills, Google Play Music, la tutela del copyright con Content ID ed altri strumenti ulteriori ne sono la dimostrazione.
Ma Google si allinea con l’idea per cui il futuro non sia oggi prevedibile in virtù del vortice di cambiamento in cui il settore (ma solo in quanto avanguardia) è entrato: la stessa Google ha lanciato servizi che poi ha chiuso nel giro di poco tempo, perché l’approccio sperimentale è l’unica possibilità per avere la speranza di uscirne indenni, se non rafforzati.
Il futuro non è prevedibile
Ernesto Assante, giornalista de La Repubblica, ha avuto in mano le conclusioni dell’incontro alle quali è arrivato al termine di una visione prospettica basata sul linguaggio. Il linguaggio, infatti, ha tempi tipicamente molto lunghi di cambiamento e oggi la maggior parte delle parole che vengono utilizzate nel descrivere strumenti e device sono superate. “Telefonino”, “giornale” o “disco” sono elementi di un mondo che sta scomparendo e la lingua fatica ad abituarsi ad utilizzarne di nuove. La mente, tipicamente formattata attorno al linguaggio, sperimenta medesimo disagio: ragiona per categorie e riferimenti, faticando ad adattarsi quando questi elementi vengono meno.
Così come previsto da Rifkin, nell’era dell’accesso la proprietà perde le proprie peculiarità e la possibilità di fruire dei prodotti diventa l’unica cosa che conta. Non serve più avere un diritto esclusivo su un file o su un supporto, insomma: anche il diritto viene smaterializzato assieme alle sue forme di espressione e cambia forma, con tutte le ricadute note in termini di vendite e modelli di business. Capire questo fenomeno è difficile per le generazioni passate, che ne apprendono semplicemente il perimetro nella speranza di poterlo controllare, mentre sarà un “de facto” per i nativi digitali.
I nuovi artisti non pensano in “dischi”, dunque il disco è soltanto (e soltanto accidentalmente) una delle forme con cui un prodotto musicale può essere diffuso. La somma tra performance, disco e video clip è oggi una realtà organica, un concetto olistico che raccoglie tutto attorno al medesimo nucleo creativo. Tutto ciò non ha soltanto effetti distorsivi, ma genera anche importanti opportunità: poter “possedere” virtualmente tutta la musica che si vuole e poterla condividere secondo le modalità preferite è infatti la quintessenza di quel che gli innamorati della musica hanno sempre desiderato. Chi investe in un servizio di streaming e sceglie quindi gli artisti ai quali affidare il proprio tempo e le proprie emozioni, quindi, sta investendo nel merito dei creativi e sta contribuendo alla crescita del comparto.
Tutto cambia, tranne la musica
In un mondo che cambia, insomma, tutto muta tranne la musica e l’amore degli appassionati. L’emozione è sempre la stessa, qualunque sia la forma espressiva prescelta. Queste ultime si sono moltiplicate grazie alla nascita di nuovi strumenti e nuovi device, il che culla la fame artistica di quanti hanno la sensibilità predisposta alla melodia.
Tutto cambia affinché nulla cambi, insomma: tutto si trasforma, anche i modelli con cui la musica è diffusa, ma non quel gusto per la melodia che l’uomo ha da sempre inciso nel proprio DNA.