Il mercato discografico sta cambiando, è già cambiato, cambierà di nuovo. Il crollo del supporto fisico e il boom dello streaming spingono inevitabilmente etichette e artisti verso nuove forme di business, necessarie per monetizzare l’attività di cantanti, musicisti e band. È in un panorama complesso e in costante evoluzione che si assiste all’incontro-scontro tra i nuovi fornitori dei servizi e le realtà da sempre impegnate nella tutela del diritto d’autore.
Nelle scorse settimane RIAA (Recording Industry Association of America) ha definito obsoleto il Digital Millennium Copyright Act, una legge scritta ormai quasi vent’anni fa (più precisamente nel 1998) con l’obiettivo di contrastare il fenomeno della pirateria. Oggi la diffusione non autorizzata dei contenuti non avviene più su CD, ma in forma intangibile, online, in gran parte attraverso i circuiti P2P. Si è dunque resa necessaria una revisione della normativa, oltre alla firma di nuovi accordi tra piattaforme come YouTube e le case discografiche. Oggi il team di Mountain View è intervenuto sull’argomento, con un post condiviso sul blog ufficiale e firmato da Christophe Muller (Head of International Music Partnerships).
YouTube e RIAA concordano su un punto: “La musica è importante, i musicisti e i cantautori sono importanti, meritano di essere adeguatamente compensati”. Muller sottolinea l’impegno della piattaforma nell’assicurare introiti a coloro che detengono i diritti d’autore, indipendentemente da chi carica i contenuti, così come l’efficacia del sistema automatico che individua upload non consentiti, responsabile del 99,5% delle segnalazioni con un grado di affidabilità pari al 99,7%, per poi paragonare l’attività del servizio a quella delle emittenti radiofoniche, seppur con alcune fondamentali differenze.
Come le radio, YouTube genera la maggior parte delle entrate dalle pubblicità. A differenza delle radio, però, devolve la maggioranza di quelle ottenute attraverso la musica all’industria discografica. Le radio, a cui si attribuiscono solo negli Stati Uniti introiti per 35 milioni di dollari l’anno, non danno nulla ad artisti ed etichette. In paesi come il Regno Unito e la Francia, dove le radio pagano royalty, noi devolviamo almeno il doppio.
Restando in tema, da oggi la piattaforma consente di generare introiti dall’advertising anche attraverso i filmati sottoposti a reclamo, pratica finora non consentita.