Twitter e Facebook a garanzia che non ci si riveli insolventi. I dati delle reti sociali sono sovente analizzati per determinare la probabilità di inadempienza a pagare le rate del mutuo. Il fenomeno si sta diffondendo negli Stati Uniti post-crisi, dove tutto cominciò proprio coi prestiti facili sorretti da una finanza drogata.
La logica che sostiene questo comportamento, descritto in un lungo articolo su MotherJones.com, è stata un po’ superficialmente descritta come una concessione del mutuo a seconda del numero di follower. Successo sul Web = concessione del prestito. La dinamica in realtà è ben diversa e riguarda la qualità dei propri contatti. È il caso della società Lenddo, che si occupa di prestiti nelle aree sottosviluppate: ipotizza che se nella cerchia di amicizie di qualcuno ci sono uno o più inadempienti sia più alta la probabilità che anche il richiedente lo sia e nega il prestito.
Insomma, una versione social del detto «dimmi con chi vai e ti dirò chi sei», ma che rappresenta senza dubbio un metodo controverso. Com’è possibile, infatti, accettare di vedersi rifiutato un prestito a causa del cattivo curruculum di un amico su Facebook o di un follower su Twittter? Non a caso le associazioni dei consumatori e il Centro per la democrazia digitale hanno fortemente denunciato questa pratica, che sfrutta un vuoto legislativo. Assenza di leggi, peraltro, che riguarda anche alcuni paesi europei. La banca tedesca Kreditech ha cominciato a concedere mutui nei paesi dell’est Europa – digiuni delle più restrittive leggi sulla privacy – con gli stessi discutibili criteri.
Il calcolo del rischio è doveroso per chi presta denaro, ovviamente, e molte agenzie di nuova generazione che offrono conti online, carte di credito a consumo, si giustificano affermando che abbassando i criteri finanziari tradizionali (occupazione, patrimonio, prospettive) per venire incontro alle persone in difficoltà escluse dal circuito bancario, devono basarsi anche su supporti di analisi sociali, che il Web fornisce adeguatamente. Peccato però che al momento questa pratica si stia sviluppando in un autentico far west, con potenziali discriminazioni anticostituzionali dietro il timbro di ogni pratica respinta.
La soluzione? La cara vecchia Federal Trade Commission, che pare stia studiando il caso per capire se questi prestatori “social” siano soggetti o meno al Fair Credit Reporting Act, la principale legge che regola queste attività economiche sul suolo americano. Il testo però non contiene uno specifico riferimento sui socialmente indesiderabili, mentre è chiara nell’impedire ogni discriminazione in base al sesso, all’orientamento politico e alla religione. E visto che le grandi banche stanno fiutando l’affare, sarà meglio aggiungere una riga.
Di certo questa tecnica pseudo-statistica vìola il buon senso, come ha giustamente fatto notare Ashkan Soltani, esperto di comportamenti in Rete:
Tra me e un’altra persona che può rivelarsi inaffidabile la definizione di amici sarebbe del tutto fuorviante nel mondo reale, ma magari potrei seguirla su Facebook perché pubblica immagini simpatiche di gattini…