Sono finalmente arrivati i risultati dell’esperimento della NASA sui gemelli Mark e Scott Kelly, pubblicati su Science. Si tratta di uno studio scientifico partito nel 2015, che ha inviato Scott Kelly nello spazio per 342 giorni, sulla Stazione Spaziale Internazionale, mentre l’altro è rimasto sulla Terra. La missione One-Year Mission ha voluto quindi esaminare gli effetti dello spazio sul corpo umano, paragonato invece al gemello con cui condivide lo stesso genoma.
I risultati sono stati in parte sorprendenti anche per i ricercatori: l’uomo è fatto per vivere nello spazio e gli effetti si possono paragonare a quelli provocati dallo stress. L’organismo umano riesce ad adattarsi meglio di quanto si pensava, a dispetto di radiazioni, microgravità, alti livelli di anidride carbonica e anche isolamento. La ricerca è stata portata avanti da dieci gruppi di ricerca e i campioni sono stati raccolti sia prima, durante che dopo la missione spaziale, per 27 mesi.
Quello che si è notato è che Scott ha subito dei cambiamenti nell’espressione dei geni (risposta del genoma all’ambiente), ma non un DNA alterato. La NASA classifica queste alterazioni comunque come una risposta umana allo stress. Il gemello in orbita ha avuto anche cambiamenti nella forma del bulbo oculare, oltre al calo di alcune abilità cognitive, ma solo subito dopo la missione, probabilmente a causa della stabilizzazione dell’organismo con la gravità terrestre. Brinda Rana, una dei principali autori della ricerca, ha dichiarato:
Una questione importante per la salute degli astronauti è la sindrome neuro-oculare associata allo spazio (Sans), che porta ad un indebolimento della vista e può essere il frutto dei tanti scossoni al sistema vascolare prodotti dal cambiamento di microgravità, ambientale e una possibile predisposizione genetica.
Un altro effetto è stato lo stress da privazione dell’ossigeno: ciò ha portato un aumento dell’infiammazione e variazioni dei nutrienti che influiscono sull’espressione genetica.
Questi dati suggeriscono che il corpo umano può affrontare e sopportare voli spaziali di lunga durata. Il corpo umano riesce ad adattarsi ai numerosi cambiamenti indotti dall’ambiente spaziale. Tutto ciò servirà come roadmap per le ricerche future, capire meglio i potenziali rischi per la salute nelle missioni di lunga durata, e sviluppare contromisure personalizzate.