Lo standard Do Not Track sta lentamente facendo capolino a bordo dei principali browser, Internet Explorer 10 in primis, permettendo agli utenti di difendere la propria privacy durante la navigazione online. Nel frattempo le discussioni presso il W3C continuano al fine di determinare in maniera definitiva le linee guida dello standard, benché in maniera lenta. Secondo il Commissario Neelie Kroes, troppo lenta: la responsabile per l’Agenda Digitale europea ha infatti fatto sentire la propria voce nelle scorse ore, invitando gli addetti ai lavori a ridurre al minimo i tempi.
Secondo la Kroes, infatti, i ritardi accumulati sarebbero eccessivi ed urge una svolta che possa condurre alla determinazione dello standard Do Not Track in via definitiva nel più breve tempo possibile. Come già sottolineato in passato, poi, è necessario che le regole che governeranno lo standard siano sufficientemente chiare, complete e ricche di significato da poter garantire agli utenti piena libertà di scelta nella gestione della privacy, permettendo a questi ultimi di decidere in totale autonomia circa la concessione di alcune informazioni personali ai siti Web visitati.
Questi ultimi, prosegue la Kroes, dovranno necessariamente rispettare le volontà dei navigatori, senza alcuna esclusione. In questo caso il riferimento va alla distribuzione di un plugin per il Web server Apache in grado di aggirare le impostazioni degli utenti in materia di Do Not Track, il quale è visto dal Commissario europeo come una possibile minaccia. Il tutto, nonostante le aziende operanti nel settore dell’advertising abbiano più volte ribadito la propria opposizione ad un simile standard, il quale potrebbe minare uno dei cardini dell’advertising odierno.
Chiedetevi: ha senso che ogni compagnia diventi esperta in “big data”, trovando ciò che gradisce la gente, cosa vuole, cosa pensa, partendo dalle sue tracce digitali? Ha senso che ogni compagnia online tracci il passato, il presente ed il futuro degli utenti? Sarebbe una cosa efficiente dal punto di vista dei costi? No, non necessariamente. Ed è questo il motivo per cui mi aspetto nuovi modelli di business in questo ambito. Per esempio servizi che tracciano e profilano gli utenti sotto il controllo degli utenti stessi; servizi che mettano a disposizione informazioni, agli inserzionisti e ad altri, con il consenso dell’autore e si, perché no, a pagamento.
La Kroes, insomma, sembra essersi spazientita per l’estrema lentezza con la quale procedono i lavori ed altrettanto sembrerebbe caratterizzare gli omologhi statunitensi della Federal Trade Commission, anch’essa infastidita per l’assenza di una roadmap ben precisa che possa condurre il Do Not Track verso una versione definitiva. Una versione che con ogni probabilità non sembra tuttavia a vedere la luce entro breve tempo e sulla quale vigono ancora numerosi dubbi circa l’effettiva capacità di salvaguardare la privacy degli utenti.