La Francia si distingue per il suo approccio alla Rete. Orgogliosa negli anni Ottanta della sua via nazionale con il Minitel, protagonista di un nuovo revanchismo tecnologico con le schermaglie contro Google, ma anche di importanti iniezioni di denaro pubblico nell’editoria per supportare il delicato trasferimento industriale dell’era post-cartacea, la Francia non è mai banale quando parla di Rete. E non è lo stata neppure nel caso del Rapporto del Consiglio Nazionale del Digitale sulla neutralità della rete.
La segnalazione viene dal sempre attento Stefano Quintarelli, esperto di questi temi e neo-parlamentare, parte di quel gruppo trasversale nel Parlamento Italiano – insieme a Paolo Gentiloni, Claudio Palmieri – che fonda una ragionevole speranza sull’applicazione dell’agenda digitale.
Quintarelli, dal suo blog, ha giustamente fatto notare come il governo francese abbia evidenziato tramite una lunga premessa sulle diverse controversie tecno-politiche in atto che il quadro giuridico non è attualmente in grado di proteggere i cittadini, ormai quasi tutti utenti del Web, e garantirne libertà di espressione e di comunicazione.
Il decreto che ha lasciato al ministro Fleur Pellerin la creazione di un gruppo di lavoro sul tema della neutralità ha prodotto un testo di 67 pagine che così viene sintetizzato sul sito del governo:
Il parere del Consiglio è che la libertà di espressione non è sufficientemente tutelata dalla legge francese contro lo sviluppo di pratiche di filtraggio, il blocco, la censura, il rallentamento.
Il principio di neutralità dovrebbe essere riconosciuto come principio fondamentale, necessario per l’esercizio della libertà di comunicazione e la libertà di espressione.
Per sancire al più alto livello della gerarchia delle norme questo principio, il testo passa a qualche proposta:
- Applicare nelle controversie soltanto la via maestra del giudice.
- Produrre leggi che promuovano la libertà della creatività e dell’innovazione e contribuiscano alla cittadinanza digitale.
- Elaborare indicatori per misurare il livello di neutralità della Rete e aprire ai servizi pubblici, in collaborazione con l’Europa.
Qui sta il primo inghippo. Perché quando si parla di neutralità si parla inevitabilmente di telco, di grandi aziende delle telecomunicazioni. I “padroni del tubo”, per dirla con Vittorio Zambardino. Per comprendere quanto sia delicato questo rapporto, anche senza citare gli arcinoti progetti come SOPA, ACTA e la logica, in auge negli Stati Uniti e in altri paesi, degli strike, basterebbe seguire la vicenda dal punto di vista privilegiato di Neelie Kroes.
La commissaria all’Agenda Digitale Europea ha attraversato i marosi della neutralità cambiando idea praticamente una volta l’anno. Dapprima paladina della riduzione dei prezzi dell’affitto delle infrastrutture, per aumentare la concorrenza delle telco, poi ha improvvisamente svoltato chiedendo un aumento del prezzo. Questo perché non è chiaro a nessuno – evidentemente neppure a lei – se sia più coerente abbassare i prezzi per stimolare l’investimento nella fibra ottica – più remunerativa a lungo termine – oppure alzarli per garantire profitti alle infrastrutture che servano a investire nella banda larga.
Il difficile campo delle telco ha creato, in Europa, il terreno ideale per uno sviluppo molto nazionale e molto poco europeo del settore. Col risultato che si avverte una mancanza di armonizzazione legislativa continentale in almeno tre settori determinanti dell’agenda digitale: il trattamento fiscale; la protezione dati; gli investimenti dei privati.
Da questo punto di vista l’iniziativa francese è meritoria. Sarebbe interessante che anche il prossimo governo producesse, tramite l’AgCom, ad esempio, oppure tramite la nuova agenzia fresca di statuto, un rapporto ufficiale da portare nel consesso europeo.