Nemmeno molto tempo fa annunciava il successo del suo esperimento, con oltre mezzo milione di abbonati. Ora il New York Times decide di rendere ancora più rigida la propria politica di pubblicazione online, diminuendo i contenuti gratuiti al di fuori del proprio paywall.
Come ormai noto, la testata da circa un anno ha deciso di limitare il numero di articoli che possono essere letti gratuitamente dagli utenti. Fino ad oggi, e almeno sino al termine di marzo, la cifra ammontava a 20 pagine viste al mese. Presto, però, il numero verrà letteralmente dimezzato: dopo 10 articoli letti, per proseguire bisognerà abbonarsi.
Il muro d’abbonamento, così come lo definisce All Things D, sarà tuttavia poroso: vi saranno, infatti, delle modalità con cui si potranno superare i 10 contenuti disponibili al mese. Seguendo un link da Facebook, Twitter o da articoli scelti di Google News, infatti, la soglia potrà essere abbattuta. La strategia – che di primo acchito appare fallace perché non riesce ad escludere i cosiddetti “lettori a scrocco” – ha però una motivazione più che valida: il New York Times non vuole costringere il casual user alla sottoscrizione di un’offerta mensile, bensì vuole accaparrarsi i lettori più avidi. Un utente fedele, infatti, genera sicuramente molti più introiti di un lettore di passaggio, magari capitato sul sito per fortuita casualità (quest’ultimo è invece un bene prezioso in termini di advertising e non va pertanto lasciato fuori).
Il modello, tuttavia, continua a generare polemiche sia da parte del pubblico che dalla concorrenza. Come può una testata, infatti, sopravvivere con un paywall in Rete, dove le notizie possono essere facilmente trovate gratis altrove? La risposta è di nuovo nel lettore affezionato e, a quanto pare, l’esperimento ha dato ragione al New York Times: dagli ultimi bilanci si evince come le sottoscrizioni digitali siano addirittura il 5% di tutte le copie vendute, comprese quelle cartacee. Non è tutto oro, tuttavia, quello che luccica: l’aumento degli abbonati digitali non è stato sufficiente a frenare il calo della testata che, nell’ultimo anno, ha portato anche al licenziamento del CEO Janet Robinson: il paywall, quindi, rischia di rivelarsi un’arma a doppio taglio.
È sempre All Things D, infine, a porre un quesito interessante orientato al futuro: il New York Times restringe il paywall perché può farlo, ovvero ha un numero di “aficionados” sufficienti, o perché è costretto a farlo, ovvero limitare i contenuti gratuiti è in funzione della ripresa economica del quotidiano? Una domanda che, ovviamente, non otterrà mai risposta dai diretti interessati, quindi non resta che lasciarsi andare alla speculazione del Web con un altro interrogativo: il New York Times sopravviverà nel mare digitale?