Non saranno forse materiali artistici in senso stretto e, spesso, di certo non brillano di originalità, ma è giusto negare alle case di produzione pornografiche i diritti concessi dal copyright? È quanto potrebbe accadere se dovesse essere approvata una recente mozione in terra statunitense.
Il tutto è accaduto nella primavera del 2011, quando l’utente Liuxia Wong è stata colta con le mani nel sacco – o meglio con le dita sul mouse – durante il download da BitTorrent di un film porno: “Amateur Allure Jen” prodotto dalla Hard Drive Production. I legali della casa cinematografica a luci rosse, attestata la violazione, hanno contattato la donna proponendole di pagare una multa di 3.400 dollari pur di evitare un processo che le sarebbe costato ben di più, stimabile in 150.000 dollari più le eventuali pene detentive.
Si tratta di una modalità che non è di certo sconosciuta agli utilizzatori dei network del filesharing e che, già in passato, ha sollevato fitte polemiche e pesanti conseguenze legali: in questo caso, i detentori della proprietà intellettuale si sostituiscono alle autorità nella scansione delle reti di scambio, proponendo poi accordi extragiudiziari forse con l’intento di battere cassa. Ma la Wong non si è lasciata di certo intimorire e, dopo aver assoldato Steven Yuen della Electronic Frontier Foundation, ha denunciato la Hard Drive Production. A sfavore della casa di produzione vi sarebbe la data di rilascio del film, il 22 aprile del 2011, una tempistica in netta contrapposizione con l’accusa di download illegale del 28 marzo dello stesso anno. Nell’ambito della pornografia, infatti, i leak anzitempo sarebbero praticamente inesistenti, quindi gli atti contro la Wong «sarebbero stati designati per costringerla a un accordo nonostante l’assenza di qualsiasi evidenza contro di lei».
Ma non è tutto: dall’azione di contrattacco della Wong si evince una particolare ipotesi, che qualora venisse confermata metterebbe in ginocchio l’intera industria XXX: il porno non potrebbe essere sottoposto a copyright:
«Articolo 1, Sezione 8, Clausola 8 della Costituzione degli Stati Uniti, conosciuta come clausola del Copyright decisa dal Congresso degli Stati Uniti: “Per promuovere il progresso della Scienza e delle Arti, si garantisce per un tempo limitato agli Autori e agli Inventori l’esclusivo diritto di godere delle loro rispettive scritture e scoperte”. […] La legge della California ha già stabilito che le opere oscene non promuovono il progresso della scienza e l’utilità dell’arte e, per questo, non possono essere protette da copyright».
La decisione finale sul caso spetta alla corte di San Francisco: con tutta probabilità, la Wong non verrà ritenuta responsabile del reato di download illegale, perché la Hard Drive Production ha fallito nell’applicare in modo corretto le rigide norme di protezione della proprietà intellettuale stabilite dal DMCA, cercando invece una risposta autonoma ed extragiudiziaria. Ma che succederà sul concetto di copyright in generale? Se la corte dovesse accettare l’ipotesi del porno come attività scevra da ogni diritto di garanzia, brutti tempi si andrebbero a prospettare per le case di produzione: sarebbe la fine dell’intrattenimento per adulti a stelle e strisce?