Una prima lettera aveva messo Google nel mirino di 10 garanti per la privacy di tutto il mondo. Italia compresa. Una seconda lettera raccoglie ora le argomentazioni della difesa, portando ai garanti le tesi a supporto di Google e del modus operandi con cui il gruppo sta tentando di sviluppare nuove soluzioni ottemperando al necessario rispetto della privacy degli utenti.
La lettera dei garanti portava avanti accuse dirette e circostanziate: «Troppo spesso il diritto alla privacy dei cittadini finisce nel dimenticatoio quando Google lancia nuove applicazioni tecnologiche. Siamo rimasti profondamente turbati dalla recente introduzione dell’applicazione di social networking Google Buzz, che ha purtroppo evidenziato una grave mancanza di riguardo per regole e norme fondamentali in materia di privacy. Inoltre, questa non è la prima volta che Google non tiene in adeguata considerazione la tutela della privacy quando lancia nuovi servizi».
La risposta è meno precisa, ma sembra cercare invece una necessaria contestualizzazione per meglio delineare la situazione. Non è tutto quel che sembra, insomma. Google, infatti, nella propria missiva spiega come il gruppo si attenga a specifici principi di responsabilità e che tenti di sviluppare i propri servizi con aderenza alle normative. La Google Dashboard con cui gli utenti possono controllare le proprie informazioni, ad esempio, dimostra la volontà del gruppo nel rendere la privacy con la moneta della trasparenza. L’iniziativa del Data Liberation Front, inoltre, serve per dimostrare la piena libertà degli utenti nel controllo della propria immagine sui server Google e la relativa possibilità di trasferire ove desiderato i propri dati.
«Ovviamente non facciamo tutto giusto al 100%». Google mette le mani avanti, ammette le sbavature di Google Buzz e cerca nella controparte un atteggiamento tollerante e comprensivo, auspicando meritocrazia per gli sforzi infusi: «Siamo lieti del fatto che molti di voi abbiano espresso la loro soddisfazione circa la velocità con cui abbiamo risposto a questi problemi». Perchè, sostiene Google, il problema non è nell’errore, ma nella eventuale incapacità di correggere provocando il protrarsi della situazione.
Il problema non è nell’errare, ma nel perseverare. Una logica conseguenza, peraltro, per il gruppo del “don’t be evil”.