Il governo sta pensando di replicare la diverted profit tax inglese sulle multinazionali con sede all’estero per correggere gli effetti dell’elusione fiscale. Lo ha fatto intendere il sottosegretario Enrico Zanetti qualche giorno fa e si è subito parlato di nuova webtax. In realtà nulla c’entra con la proposta di Boccia (per fortuna), è una ritenuta del 25% alla fonte sui pagamenti alle multinazionali che dall’Italia vanno verso le sedi estere. In alternativa, secondo questo progetto, c’è la possibilità di definirsi “stabile organizzazione”. Ipotesi al momento azzardata.
Erano le ore di festa della Liberazione quando si è scatenato un certo flame sull’argomento, viziato però dal fatto che si parla di voci, di proposte, e che si finisce spesso per fare pubblicità al protagonismo politico e all’ansia di annunci dell’esecutivo, in molti casi fatti della stessa sostanza dei sogni e alimentati dagli stessi media. C’è da dire che per la prima volta si comincia a parlare di profit shifting in senso razionale. La proposta che il sottosegretario di Scelta Civica sostiene arriverà sul tavolo del governo è molto semplice, si basa sui criteri suggeriti dall’Ocse e si compone di tre passaggi:
- Si evidenzia una stabile organizzazione “virtuale” per le multinazionali operanti in Italia ma con sede fiscale all’estero, basata su una presenza rilevante nel paese dal punto di vista della movimentazione di denaro sui circuiti di pagamento (banche e intermediari). Se si ricevono pagamenti superiori a una certa soglia, scatta la virtualità.
- Si trattiene il 25% di questo denaro prima che vada all’estero. Una ritenuta alla fonte, netta e indiscutibile, obbligata dal rapporto tra fisco nazionale e circuiti di pagamento e compensata da un equivalente credito d’imposta pari all’importo delle tasse versate in Italia (così da evitare che paghino due volte le tasse sulla stessa cifra). A meno che Google, o Apple o Amazon decidano di farsi pagare soltanto in Bitcoin, non si scappa.
- Si propone all’azienda di accettare in alternativa la definizione di “stabile organizzazione” secondo la legge italiana, evitando la ritenuta del 25%. La convinzione di Zanetti – per la verità poco chiara – è che la stabile organizzazione sia il male minore rispetto a questa tassa, perché l’Iva applicata è talvolta inferiore per questo tipo di attività. Anche se risulta difficile immaginare che il fisco italiano possa sembrare a chiunque meglio di qualunque altra cosa.
@massimoscolari @albe_ Uno Stato affamato di tasse se ne frega dell'ecommerce. Ci condannerà all'arretratezza perenne. @enrico_zanetti
— C.A. Carnevale-Maffè (@carloalberto) April 26, 2015
La differenza con la webtax
La differenza con la webtax salta subito agli occhi: la proposta di Boccia inventava una partita iva obbligatoria per i fornitori di pubblicità online, una scelta scriteriata e anti comunitaria, invece la profit tax immaginata in questo caso riguarda tutte le multinazionali, non soltanto le web company.
Della webtax ha uno stesso difetto: prende una via nazionale alla soluzione di un problema che solo l’Unione Europa e gli organismi sovranazionali, come l’Ocse stessa, possono davvero risolvere, così c’è il rischio che la praticabilità teorica non basti ad evitare degli impicci burocratici cogli altri stati membri e coi tempi di future disposizioni.
Stabile organizzazione: i colossi non accetteranno
La discussione è partita, per il momento in assenza di piani industriali e di tabelle serie sull’impatto calcolato dell’imposizione rispetto allo sviluppo del mercato (il professor Carlo Maffè è ad esempio convinto che questa proposte manterranno l’Italia in una posizione di arretratezza perenne sul commercio elettronico) è impossibile dire altro. Così come non parlano di certo le web company implicate, sempre convitati di pietra in queste proposte di decreti.
Esistono statement già di livello continentale di queste aziende che fanno supporre saranno molto restìe ad accettare di definirsi stabile organizzazione in Italia. Nelle risposte su questi temi che i dirigenti di Amazon danno alla stampa si afferma che la società ha la sola stabile organizzazione in Lussemburgo. Questo concetto vale anche per le altre multinazionali, Google Italia ad esempio ha già risposto a questa domanda nei due ultimi servizi di “Report” e “Presa diretta”. Queste multinazionali hanno studiato da tempo, confrontando tutte le norme esistenti, il tema della stabile organizzazione e i manager non si faranno certo cogliere impreparati davanti a un decreto fiscale di questo tipo, perché ritengono di poter dimostrare di avere ragione.
Ad oggi l’imposta fiscale può anche essere improntata (sempre rischiando molto sulla sua realistica applicabilità considerando che si stiracchia molto il concetto di stabile organizzazione accolta nel testo nazionale sui redditi e desunta da trattati internazionali), ma se l’obiettivo vero è nazionalizzare fiscalmente questi colossi, da soli come sistema paese e con un meccanismo di “bastone e carota”, la delusione è dietro l’angolo.