Perché agli operatori televisivi le frequenze vengono assegnate gratis, mentre ai gestori di telefonia mobile no, e anzi devono partecipare a costosissime aste? Questa domanda se la sono chiesta un po’ tutti da Renato Soru, AD Tiscali, a Vicenzo Novari, AD 3 Italia, al presidente di Telecom Italia e persino al commissario dell’Agcom Stefano Mannoni.
Nuove frequenze come sappiamo, sono essenziali per l’evoluzione e la sopravvivenza della banda larga mobile, e su questo lo Stato vuole guadagnarci su, istituendo un’asta che dovrebbe portare nella casse del Governo circa 2,4 miliardi di euro.
Peccato che quest’asta, soprattutto in un’epoca di crisi, andrà a creare una forte disparità tra gli operatori piccoli e quelli grandi.
Per esempio, Vincenzo Novari, AD di 3 Italia, ha dichiarato di non avere i soldi per sostenere un’asta simile, ma soprattutto di non capire l’asimmetria di comportamento da parte del Governo tra settori diversi.
Io vorrei capire perché quando si assegnano frequenze alla telefonia le gare sono a pagamento, mentre quando si va in asta per dare frequenze alla TV sono gratuite.
Dichiarazioni che hanno fornito un perfetto assist a Renato Soru, AD Tiscali che si chiede:
Dobbiamo considerare pubblico servizio uno dei 200 canali digitali che nessuno guarda? Sui costi io sposo quello che ha detto Novari.
Anche Telecom Italia, pur rimanendo fuori dalla polemica ha comunque fatto sapere che come azienda privata, la possibilità di pagare il meno possibile è cosa assai gradita…