Sembra che al momento il problema principale con cui Facebook deve confrontarsi è la privacy, cioè l’esigenza di mantenere la struttura che gli ha dato il successo facendo però attenzione a rispettare le diverse esigenze di riservatezza.
Arrivano così i nuovi controlli sui dati personali, un set di nuove opzioni disponibili per tutti gli utenti che consentono una maggiore personalizzazione del modo in cui le informazioni sul proprio stato vengono visualizzate.
L’innovazione principale è l’introduzione di una nuova categoria, quella degli amici degli amici, una sorta di livello intermedio tra lo sconosciuto e l’amico (che nel mondo Facebook indica chiunque sia autorizzato ad avere accesso ai dati dell’utente). In maniera non troppo diversa da come accade su LinkedIn gli utenti potranno avere anche un profilo limitato da mostrare alle persone che conosco attraverso i loro amici.
Adesso chiunque dal pannello di controllo “privacy” del proprio profilo potrà settare quale tipo di informazione rendere disponibile a quale tipologia di utenti. Eppure i più forti avversatori del sistema di gestione dei dati personali di Facebook, come il Center For Digital Democracy, ci tengono a rimarcare come simili novità siano fumo negli occhi poichè non toccano quello che è l’argomento fondamentale cioè l’uso che la società fa dei dati degli utenti e cosa sia a disposizione degli investitori pubblicitari.
A fomentare la tesi del fumo negli occhi contribuisce anche un’altra nuova funzione, cioè la possibilità per gli studenti (cioè chi ha un account di posta registrato .edu) di decidere quali dei propri dati rendere visibili a quali categorie di amici. Si può cioè decidere di interdire la categoria dei “professori” da certe tipologie di dati (come foto, post, messaggi ecc. ecc.), tuttavia lo stato di “professore” o “studente” lo può decidere ogni singolo utente per sè, il che significa che se un professore volesse avere accesso ad informazioni riservate ad altri studenti potrebbe in ogni momento cambiare il proprio stato.
La cosa curiosa è che sono più che altro le associazioni come il Center For Digital Democracy ad occuparsi del problema della privacy e ad averlo a cuore. Gli utenti se ne curano molto di meno: solamente il 25% avrebbe controllato almeno una volta lo stato dei propri settaggi sulla privacy.