Mentre in aula sono alle prese con le sedute fiume sulla conversione del decreto del fare, in Commissione Giustizia si produce indefessa la più grande quantità di proposte di legge ed emendamenti sulla revisione della diffamazione a mezzo stampa, dove com’è ormai tradizione della politica italiana non si riesce a tenere il conto di quelli che colpevolizzano la Rete. L’ultimo salito agli onori della cronaca è il deputato Gianfranco Chiarelli (PDL), che è riuscito nell’arduo compito di spaventare persino il sottosegrario alla giustizia del suo stesso partito.
L’emendamento proposto ieri in commissione si basa sulla estensione del reato anche ai mezzi telematici – argomento di per sé importante e da affrontare – ma prevede l’oscuramento del sito o in subordine una condanna fino a cinque anni e centomila euro di multa. In questo senso l’emendamento è terribilmente ignaro – non si sa quanto in buona fede – dell’audizione dei direttori di giornali e telegiornali, avvenuta pochi giorni fa, che invece ha posto le basi per una discussione seria sulla depenalizzazione del reato e sul carattere ormai imprescindibile di un intervento sulle querele facili: unico strumento per compensare le giuste responsabilità di chi fa informazione è infatti punire le “querele temerarie”, altrimenti è un gioco al massacro.
Una selva di proposte
Entrare nella discussione in atto in sede di commissione sulla diffamazione significa entrare in una selva oscura: l’emendamento del deputato – che ha fatto saltare la riunione, aggiornata ad oggi – è solo una piccolissima parte di quelli presentati al progetto di legge Costa, che a sua volta non è l’unico all’attenzione della commissione. Sulle disposizioni in materia di diffamazione vanno di pari passo anche la proposta di legge Gelmini, quella Luizzi-Businarolo, l’ormai mitica proposta Pisicchio, quella Molteni. Tutte a loro volta emendate e riformulate in un dedalo di proposte più o meno ragionevoli, ma a volte anche fatte con le peggiori intenzioni. È il caso dell’intervento di Mariastella Gelmini, che rivedendo l’articolo 594 del codice penale sull’ingiuria propone una specie di aggravante telematica che sembra fatta apposta per impedire una sana libertà di espressione sui social network – al netto ovviamente delle leggi già esistenti sui reati contro la dignità delle persone, che sono perfettamente applicabili anche in Rete, come dimostrano recenti sentenze.
#ilrumoredeinemici
storia di una guerra ideologica
Siti internet aventi natura editoriale: quali?
Bisogna intendersi: chi pubblica online non ha automaticamente una natura editoriale. Anzi. I blog non sono siti internet “aventi natura editoriale” perché non hanno esimenti, non godono di finanziamenti, non hanno direttori responsabili, non sono iscritti al ROC. Sarebbero quindi esclusi da ogni tipo di provvedimento di cui si parla anche in queste ore. Ma il condizionale è d’obbligo, non tanto per l’interpretazione di questi testi, quanto per lo storico di maldestri tentativi di bavaglio da parte di una classe dirigente che è la medesima che ora vorrebbe rimettere mano all’argomento.
Tuttavia, nell’esigenza di stabilire delle uniformità di giudizio sull’informazione online rispetto a quella cartacea c’è del vero: una certa cultura free di Internet ha paradossalmente lasciato soli i blogger, i free lance e anche molti cittadini che semplicemente vorrebbero informarsi. La prospettiva secondo la quale in Rete possono esserci gli stessi diritti e doveri e questo sarà meglio per tutti è anche l’opinione di una persona al di sopra di ogni sospetto come Rodotà. Per reciproca diffidenza ci si è ostinati a credere fosse meglio non legiferare o farlo in modo punitivo e quindi sempre fallimentare perché osteggiato (per fortuna), ma il risultato è una informazione web molto contaminata, troppo spesso di basso livello, soggetta alle intemperanze di utenti che si comportano come fossero a casa loro, convinti di non rischiare alcuna conseguenza per le loro parole, anche le più violente e gratuite.
Tra l’altro, che in rete si possa dire di tutto non corrisponde al vero, ma spesso una buona riforma legislativa serve a prendere atto dei cambiamenti culturali e a indirizzarli verso il bene comune. Insomma, continuano a sorgere problemi perché si trattano blog e social adoperando gli stessi schemi (un esempio classico è la rettifica) senza pensare all’ambiente della Rete. Ma stabilire che l’informatore web deve fare le stesse cose di quello cartaceo e ha gli stessi doveri non è uno scandalo: è la maturità.