Il viaggio in Oriente di Barack Obama è stato importante. Spesso, però, sono questi incontri fatti più di parole che non di fatti, con prese di posizione lievi e strette di mano che seminano per il futuro. Sul clima pochi passi avanti; sul commercio solo reciproche promesse; sul nucleare qualche silenzio imbarazzato; sulla Rete, invece, una particolare chiarezza: la libertà di accesso e di espressione deve essere garantita.
Tutto inizia parlando di Twitter. Il viaggio in Oriente prevedeva anche una sessione di domande e risposte con il Presidente USA messo di fronte ad una platea di centinaia di studenti cinesi di Shangai. Alcune domande provenivano però anche dall’ambasciata USA a Pechino: il filtro del team di Obama ha girato al presidente il punto interrogativo più scottante, e ne sono derivate una piccola novità ed una importante affermazione. Dall’ambasciata è stato chiesto al Presidente se fosse a conoscenza del filtro che in Cina è stato imposto a Twitter e se sapesse in generale delle restrizioni del Grande Firewall cinese alla Rete.
La prima verità, la più curiosa: Barack Obama ha ammesso di aver mai usato Twitter. Piccola cosa, ma nuova: in passato si era infatti speculato sul fatto che il Presidente potesse farne un uso diretto, immettendo sporadicamente twit poi completati dall’attività continua del suo staff. Obama ha invece cancellato ogni dubbio: l’account @BarackObama (peraltro uno dei primi “Verified Account) è in realtà completamente mediato ed i 2.6 milioni di iscritti sanno ora di interagire con un referente dedicato invece che direttamente con l’uomo più importante del mondo (il quale ha sì fatto del Web la propria pista di lancio, ma sul quale non ha certo possibilità materiali di interazione continua e diretta). Si sapeva, ma l’illusione era stata lasciata ad arte in sospeso affinché trapelasse l’idea di un coinvolgimento personale e di una linea rossa in grado di cinguettare direttamente dalla sala ovale.
La seconda verità, la più importante: «sono un grande sostenitore della tecnologia e della non restrizione dell’accesso alla Rete». Una piccola frase, ma pronunciata da Shangai per una domanda proveniente da uno studente al riparo da occhi indiscreti, all’interno dell’ambasciata USA a Pechino. Così Barack Obama ha nuovamente alzato il vessillo della verità, difendendo al contempo tanto i principi espressi dalla bandiera appuntata sul petto, quanto gli interessi delle grandi aziende tecnologiche della propria nazione. Anche in questo caso trattasi però di una affermazione che dovrà essere verificata nei fatti: le trattative tra Corea e USA in tema ACTA starebbero infatti proseguendo ed in molti casi. La dichiarazione di Obama è stata peraltro edulcorata dallo stesso Presidente USA, il quale si è affrettato a sottolineare come Cina e Stati Uniti abbiano culture e tradizioni differenti, e che ogni stato sia sovrano e pertanto libero di legiferare per i propri cittadini. Nel nucleare come sulla Rete, in Corea come in Iran, «c’è da guadagnarci reciprocamente quando le grandi potenze convergono, piuttosto che quando si scontrano».
Obama non intende mettere eccessiva pressione, dunque, ma non ha sprecato l’occasione. Si è presentato davanti ad una platea cinese e, microfono alla mano, ha approfittato della diretta e della copertura mediatica per predicare libertà come grande ambizione e vessillo occidentale: «più l’informazione è libera di fluire, più forte la società diventa. I cittadini possono pensare autonomamente. Generano nuove idee ed incoraggiano la creatività. Penso che questa cosa renda la nostra democrazia più forte e me un leader migliore, perchè mi costringe ad ascoltare opinioni che non vorrei sentire». Edulcorato o meno, il messaggio è passato: la libertà è alla base del linguaggio comune da adoperarsi per il dialogo tra le parti. Ed in Cina, che lo si ammetta o meno, la libertà non è ad oggi garantita.