Dopo due anni di discussione l’OCSE ha pubblicato il dossier sulla erosione fiscale e il profit shifting, cioè il documento che ufficializza le strategie che l’organismo internazionale suggerisce ai ministri del G20 per ridurre il gap tra i guadagni delle multinazionali e la tassazione che i singoli stati sono riusciti fin qui a imporre. Il programma, denominato BEPS, contiene tra le varie azioni anche una copia quasi identica della digital tax proposta in Italia.
La stima dell’elusione fiscale ad opera delle multinazionali si aggira attorno a 200 miliardi di dollari, ma la verità è che nessuno è in grado di calcolarla e probabilmente neppure il BEPS può ridurla a zero, ma si tratta del primo studio che intende aggredire il fenomeno in modo scientifico. L’OCSE ha individuato 15 mosse che partono da un presupposto ormai noto e spesso raccontato anche su Webnews: le multinazionali in particolare dell’economia immateriale dei servizi riescono a ridurre sensibilmente l’imponibile spostando la titolarità dei servizi in un unico paese europeo (ad esempio l’Irlanda o il Lussemburgo) da dove vengono erogati; il sistema di diffusione da remoto e alcuni vuoti legislativi consentono di negare ogni stabile organizzazione di queste imprese che sono così facilitate nello spostamento dei pagamenti provenienti da ogni paese verso una prima società fatturante, poi verso l’azienda madre fino a dileguarsi in società estere.
Agreement reached on final package of #BEPS measures to reform international #tax rules http://t.co/tqfdUXxipK pic.twitter.com/wamcFbqKVg
— OECD Tax (@OECDtax) October 5, 2015
Il BEPS (pdf) prevede una sorta di report che le multinazionali dovranno compilare oltre a subire una serie di strumenti differenziati per stabilire il volume di affari. Tra le varie proposte, anche la scelta tra il prelievo forzoso oppure la stabile organizzazione, esattamente come previsto dalla digital tax, che aveva fatto molto discutere ma che è sempre stata difesa dai suoi firmatari, in primis Enrico Zanetti, segretario di Scelta civica, e Stefano Quintarelli, proprio citando l’OCSE come fonte di ispirazione. Nel lungo dossier manca la specificazione dell’aliquota – anche perché ogni paese partecipante dovrà approvare questo programma – che la digital tax immagina al 25%, ma il resto è pressoché identico.
Cosa prevede il BEPS
È materia tecnica e quasi impossibile da comprendere senza una laurea in economia (e forse non basta), ma stando agli statement dell’Ocse le strategie elaborate sono facili da intuire. Il pacchetto finale di misure include nuove norme minime relative a quanto devono dichiarare i paesi a proposito della presenza e attività delle multinazionali, che a loro volta dovranno certificare i dati su vendite, profitti, forza lavoro, patrimonio e imposizione fiscale. Ciò fornisce alle amministrazioni fiscali un compito nuovo che risulterà fondamentale per trattare poi con gli altri strumenti tutte le pratiche dannose. Tutto questo evitando come successo fino ad oggi che il divieto di doppia imposizione diventi “nessuna imposizione”.
Questa comunicazione reciproca e costante – le multinazionali alle amministrazioni fiscali nazionali, gli Stati all’Ocse – si avvarrà anche di una ridefinizione del concetto chiave di “stabile organizzazione”, il punto nevralgico della questione, che si affronta con report standard e incentivi a fare la cosa giusta. In realtà ci sono multinazionali che hanno anticipato l’Ocse aprendo partite iva nazionali, come Amazon, le cui filiali in Italia, Spagna, Inghilterra e Germania sono a tutti gli effetti stabili organizzazioni già dal maggio scorso. Per chi come il gigante di Seattle fa ecommerce b2c e b2b e ha centri di distribuzione presenti sui territori di fatto non c’è grande differenza, Amazon è sempre stata un esempio scorretto a proposito dell’erosione fiscale perché in questo settore l’Iva applicata è sempre quella dello Stato in cui si acquista il bene. Quel che cambierebbe davvero, con il BEPS, è una più globale applicazione delle regole internazionali sulla tassazione e il transfer pricing.
L’Ocse presenterà le misure anti erosione fiscale ai ministri delle finanze del G20 durante l’incontro dell’8 ottobre a Lima in Perù. C’è però da fare subito una considerazione: al tavolo di lavoro hanno partecipato tutti, anche gli Stati Uniti, i quali però non si può pensare firmeranno la convenzione senza battere ciglio.